Bimbi pestiferi: in risposta a Sagredo
Una risposta pacata e lucida all’ultimo duro sermone di Sagredo, che fustigava il puerocentrismo dannoso ampiamente diffuso da pedagogisti come Daniele Novara

Caro Sagredo,
il tuo articolo è certamente molto duro, davvero non le mandi a dire!
Ho letto quello che ha scritto Novara che resta nel solco di quella visione dell’infanzia che ben conosciamo: puerocentrismo spinto, vaniloqui sulla libertà dei bambini, richiamo ad una società che deve piegarsi ai bisogni dei piccoli despoti e un finale in cui egli si chiede, come di prammatica, come mai in Italia si facciano sempre meno figli.
L’argomento è spinosissimo. Tutti possono vedere il disagio assoluto che i bambini arrecano nei luoghi pubblici. Ristoranti, sale d’aspetto, mezzi di trasporto, ovunque i piccoli lanzichenecchi vengono lasciati allo stato brado, e guai a mostrare segni di insofferenza. Siccome sono pochi, siccome i genitori si sono dimostrati eroici nel metterli al mondo…si sopporta e zitti!
Mi sembra che alle deboli argomentazioni di Novara sia lecito rispondere anche in modo deciso, come hai fatto tu. Sicuramente, dovunque intenderai controbattere, troverai schiere di adulti (genitori, educatori, insegnanti) pronti a saltarti addosso e a difendere le tesi di Novara… ma non credo che questo ti preoccupi.
Mi piace che tu sia andato a fondo della questione, perché tocchi le criticità di un approccio puerocentrico nell’educazione che, purtroppo, vediamo presto sfociare in un’adolescenza fuori controllo e in un mondo popolato da una schiera sempre più folta di giovani adulti fragilissimi, affetti dai più diversi disturbi psicologici, incapaci di dominarsi, di gestirsi e di incanalare la propria vita in un orizzonte di senso. Spesso sono storie che vanno a finire malissimo.
È evidente che una certa impostazione educativa la sconti la scuola, ma sempre più spesso è la scuola stessa che, appoggiandosi a teorie pedagogiche fallaci, si rende complice di gravi errori e rinuncia alla sua funzione regolativa.
La fase dell’infanzia è cruciale per permettere al bambino la comprensione del mondo in cui si trova, delle regole che lo governano, delle aspettative che la società adulta ha nei suoi confronti. Negare i confini condanna i piccoli al disorientamento, li abbandona a cercare, smarriti, una bussola e i comportamenti rabbiosi e fuori dalle righe che riscontriamo, non sono altro che il grido disperato di chi ci sta chiedendo un muro a cui appoggiarsi, un limite.
Nella mia esperienza di maestra ho avuto a che fare con tanti piccoli despoti. Il suggerimento di psicologi e affini, spesso contattati da famiglie sfinite, è sempre stato quello di contrattare, di arrivare a un compromesso, di non imporre e di mediare. Purtroppo questi sono suggerimenti del tutto fallimentari, perché il piccolo, in pochi minuti, vede l’incertezza, la titubanza… e ti divora in un sol boccone.
Funziona l’esatto contrario: “Da adesso farai quello che ti dirò io, perché io sono l’adulto e tu sei il bambino”. Chiusa la porta dell’aula, si avvera la magia! Il piccolo sovrano si mette tranquillo, ti cede volentieri quella pesante corona e si può finalmente permettere di affidarsi. Che sollievo…
Insegnare ai bambini a controllarsi, ad aspettare, a non lamentarsi continuamente, a rispettare il luogo in cui ci si trova e le persone che si incontrano, consente di crescere con il giusto “contenimento”. È assolutamente necessario che il bambino si misuri con la frustrazione di non avere tutto e subito, di dover reprimere le reazioni più immediate e si confronti con la necessità di trasformare le reazioni istintive in risposte consapevoli. Questo si impara fin dalla culla! Già non correre al lettino al primo vagito del piccolo lo abitua a sopportare l’attesa, a trovare i sentieri dell’autoconsolazione. Queste sono le tesi del meraviglioso libro di Asha Phillips I no che aiutano a crescere, una vera bibbia per l’educazione, che sfata tanti luoghi comuni propagandati da un certo tipo di teorie pedagogiche e spiega come abituare gradualmente i bambini al controllo e all’autonomia fin da piccolissimi.
Per me, poi, un altro testo è stato illuminante per capire i meccanismi alla base dell’apprendimento di un comportamento accettabile: Se mi vuoi bene, dimmi di no, della compianta neuropsichiatra Giuliana Ukmar, in cui vengono individuati i comportamenti genitoriali deleteri che ostacolano una crescita armoniosa e sana.
Basterebbe leggere questi due semplici guide, da tempo in circolazione, per permettere a insegnanti e genitori di non cadere in errori macroscopici ed evitare che la situazione sfugga di mano.
Tornando al tuo articolo, mi sembrano molto lucide le considerazioni finali sugli esercizi commerciali che riservano uno spazio ai bambini e sul microcosmo tossico che propongono. Ai pedagogisti nostrani, rapiti da usi e costumi di finnici e simili, sfugge la peculiarità dell’italica stirpe. Camminando per le vie romane mi imbatto continuamente in famiglie di turisti, anche numerose, i cui fulvi virgulti camminano silenziosi e ordinati, salgono su mezzi pubblici, siedono ai tavolini di ristoranti e bar senza disturbare e senza attirare l’attenzione. Composti e quieti, non vengono mai richiamati e non creano alcun imbarazzo ai loro genitori. Visitando i loro paesi, mi sono resa conto di come siano diversi da noi. Società che instillano autocontrollo e disciplina insieme al latte materno, che non necessitano di metodi coercitivi perché il modello di comportamento che gli adulti trasmettono ai ragazzi è già contenuto, pertanto possono permettersi luoghi dedicati ai bisogni di famiglie con bambini senza che diventino gironi danteschi. Per noi la situazione è un po’ diversa. Siamo noi stessi un popolo poco vocato alla disciplina e all’obbedienza, dall’indole vivace e intemperante. Probabilmente, le rigidissime regole educative del passato, nella società e nella scuola, cercavano di irrigimentare un’infanzia poco propensa alle regole e alla compostezza. Oggi che gli argini sono rotti e che la società adulta si presenta scomposta, caotica e confusa, la necessità di ripartire dall’educazione è imprescindibile e la riflessione pedagogica non può pretendere di importare modelli lontanissimi, che si pongono a distanze siderali dalla nostra realtà e mostrano tutta la loro inefficacia se estrapolati e calati a forza in una dimensione antropologicamente diversa.