Dimenticare chi ci ha insegnato a pensare
Da maestri a bersagli: la lenta e dolorosa perdita di prestigio della figura del docente nella società moderna – una riflessione scritta da uno studente che non vuole crescere senza maestri.

“Terrò chi mi ha insegnato quest’arte in conto di genitore.”
Questa frase, tratta dal Giuramento di Ippocrate, non riguarda solo i medici. Parla del rapporto sacro tra chi insegna e chi apprende. Eppure, oggi, quel legame è quasi svanito. I docenti, da figure guida, sono diventati spesso personaggi marginali, sottovalutati, se non proprio screditati.
Parlo da studente. Vivo la scuola ogni giorno, ci sto dentro, la respiro. E posso dirlo chiaramente: qualcosa si è rotto. L’autorità del docente non è più naturale, ma qualcosa da guadagnarsi ogni giorno in un contesto ostile. Non da parte di tutti, certo, ma la deriva è palpabile. C’è un’insofferenza crescente verso chi insegna.
Forse la crisi nasce da un malinteso culturale: abbiamo scambiato l’autorità con l’autoritarismo, il rigore con la rigidità, la disciplina con la repressione.
E così, nel nome di una finta modernità, abbiamo abbattuto le ultime forme di rispetto per chi ci guida.
Il risultato? Una scuola che ha sempre più bisogno di “tenere in piedi la baracca”, ma con meno strumenti, meno ascolto, meno stima.
Come studente, mi fa rabbia vedere professori derisi, messi in discussione pubblicamente, delegittimati da genitori che difendono ogni capriccio del figlio, trattando la scuola come un servizio clienti.
Non è così che si costruisce una comunità.
L’istruzione non è una merce. E i docenti non sono esecutori di ordini.
Se non riscopriamo il valore di chi insegna, corriamo un rischio enorme. Perderemo il contatto con le radici del sapere. Cresceremo “informati” ma non formati, pieni di opinioni ma senza criterio.
Non si tratta di idealizzare i docenti: come in ogni categoria, ci sono quelli che sbagliano, quelli che si sono arresi, quelli che non dovrebbero essere lì.
Ma la stragrande maggioranza fa questo mestiere con dedizione, spesso in condizioni difficili.
E allora mi chiedo: che tipo di adulti diventeremo se continuiamo a trattare con indifferenza – o peggio, con disprezzo – chi ha scelto di insegnarci a leggere, scrivere, pensare, analizzare?
Senza maestri non c’è futuro. C’è solo rumore.
Ci serve una rivoluzione culturale. Una che parta da noi, studenti, ma che coinvolga famiglie, istituzioni, media.
Ricominciare a guardare i docenti come genitori del pensiero, come custodi di un patrimonio che non si tramanda da solo.
Perché chi insegna davvero, chi crede nella forza della conoscenza, sta facendo qualcosa di eroico.
Sta combattendo contro la superficialità, contro il cinismo, contro l’idea che “tanto non serve a niente”.
Io non voglio dimenticare chi mi ha insegnato a pensare.
E invito chi legge a fare lo stesso.
Salvatore Paolo Caligaris
è studente al liceo classico ed è il fondatore di Hub Letteratura.
Ubi studium ibi lux
Lascia ben sperare questo apprezzamento che è anche una richiesta di genitorialità scolastica. Soprattutto paterna, direi. Da parte di un ragazzo che, rara avis, ama la ricerca culturale e lo studio e che si appresta ad “entrare nel gioco” sapendo di avere delle basi cognitive e soprattutto -morali.