Esame di Stato è qualità dell’istruzione
Prima di immaginare, sull’onda emotiva di singoli casi amplificati dai social, l’abolizione dell’esame di Stato o una sua radicale revisione, bisogna riflettere sul legame che ha con la qualità dell’istruzione.

La discussione sull’esame di Stato, alimentata in questi giorni dalla decisione di alcuni studenti di non affrontare la prova orale e dalle conseguenti polemiche nel dibattito pubblico, richiede una riflessione seria e ponderata. Molti sono inclini a pensare che l’esame di maturità sia ormai un rito superato, simile a un obbligo obsoleto come il servizio di leva, e che i costi e le risorse pubbliche impiegate ne rendano inopportuna la sopravvivenza; invece è importante considerare un punto di vista differente, fondato su motivazioni di natura didattica e culturale.
In qualità di insegnante di matematica e fisica in un liceo scientifico, posso affermare con convinzione che l’esame di maturità, e in particolare la seconda prova di matematica, costituisce un momento imprescindibile nel percorso formativo degli studenti. Questa prova, di elaborazione ministeriale, richiede un livello elevato di padronanza della materia e di approfondimento: non basta conoscere i concetti fondamentali a livello superficiale, ma è indispensabile avere una preparazione solida e articolata, capace di affrontare quesiti che spaziano dalle dimostrazioni geometriche euclidee agli esercizi di calcolo combinatorio, dalla geometria analitica nello spazio all’analisi. Temi che vengono sviluppati in tutto il quinquennio di scuola superiore e che spesso l’esame di Stato richiede a livelli complessi e non scontati.
Dunque il motivo di questa imprescindibilità è semplice: la seconda prova garantisce che l’asticella dell’istruzione resti elevata durante tutto il percorso scolastico. Nessun docente responsabile proporrebbe durante l’anno verifiche troppo facili, se sapesse che tali esercizi non preparano adeguatamente gli studenti alla sfida che la prova ministeriale richiederà loro di affrontare. L’esame di maturità, in sostanza, funge da parametro di qualità, assicurando che il livello di preparazione conseguito non sia superficiale, bensì approfondito, coerente e rigoroso.
Chissà se gli studenti “disobbedienti” sono consapevoli che un esame così strutturato ha contribuito a garantire anche a loro la qualità degli apprendimenti ricevuti.
Il principio si può applicare a tutte le discipline. Il timore di un serio esaminatore esterno dovrebbe spingere i docenti a mantenere elevati gli standard qualitativi delle proprie materie, evitando di abbassare le aspettative in risposta alle sollecitazioni al ribasso degli alunni. Anche perché troppo spesso genitori permissivi e indolenti contribuiscono ad indebolire questa attenzione alla qualità dell’apprendimento.
È anche fondamentale valorizzare il senso complessivo dell’esame di Stato: esso non si limita alla verifica delle competenze disciplinari, ma include la capacità di pensiero critico, di mettere insieme conoscenze diverse e di esprimerle con coerenza e originalità. Per quanto riguarda la prima prova, lo scritto di italiano, si chiede allo studente di scrivere, in modo corretto, un testo su un tema letterario, storico o di attualità. Nell’esame orale la commissione propone uno spunto – un’immagine, un testo, un documento – che impone allo studente di costruire un colloquio multidisciplinare, coinvolgendo tutte le materie dei docenti presenti: un’opportunità preziosa per gli studenti di dimostrare quanto siano riusciti a integrare le conoscenze acquisite, ad affrontare tematiche complesse e a comunicarle con efficacia, anche di fronte a membri esterni alla scuola. Ma non è niente di troppo ansiogeno o di troppo problematico per chi ha una preparazione adeguata: perché tutto ciò dovrebbe essere descritto addirittura come un trauma?
Alcuni sostengono che l’esame sia inutile perché i cinque anni di corso hanno già verificato le stesse competenze; purtroppo chi lavora quotidianamente nella scuola sa che l’affermazione è vera solo in piccola parte. È noto che ogni anno si promuove troppo facilmente, che le ore di lezione vengono sempre più spesso dedicate a progetti e laboratori mentre l’attenzione sulle conoscenze disciplinari viene progressivamente trascurata. L’esame di Stato e la “paura” che suscita dovrebbero aiutare a contrastare questa tendenza al degrado della qualità formativa.
Tornando alla prova orale, vorrei condividere un episodio di qualche anno fa. Al termine di un colloquio eccellente, venne chiesto allo studente di raccontare un’esperienza vissuta durante gli anni scolastici che lo avesse particolarmente colpito. Invece del consueto resoconto di un tirocinio o di un’attività specifica, egli parlò del senso stesso dell’esame, citando la “nottola di Minerva”. Questa metafora, coniata da Hegel, descrive il ruolo della filosofia: come un uccello notturno si alza in volo solo al crepuscolo, quando il giorno sta per finire, così la filosofia può comprendere e spiegare la realtà solo dopo che questa si è sviluppata pienamente. Per quello studente l’esame rappresentava l’opportunità di mettere insieme tutto ciò che aveva studiato e di dimostrarlo davanti a una commissione composta sia da docenti interni sia esterni. Ancora oggi ci sono tanti studenti così: perché si dovrebbe togliere loro la possibilità di concludere il corso di studi con una prova d’esame significativa e gratificante?
L’idea di abolire o di apportare modifiche sostanziali all’esame di maturità merita di essere respinta: questo strumento, radicato profondamente nella tradizione educativa italiana, rappresenta un elemento di garanzia per mantenere elevati e rigorosi i livelli dell’istruzione, a vantaggio di tutti gli studenti.
L’avere intrapreso la strada della facilità e quindi demonizzato qualsiasi vera prova, ha ingenerato nello studente (ma forse più ancora nei suoi genitori, spesso separati e in stato di perenne adolescenza) la paura di avere paura. L’ozio, anche quello scolastico, è padre dei vizi e troppi dei nostri ragazzi sono viziati. Chi si è ostinato a tentare di arginare l’ondata di “mammolizzazione” dei nostri studenti, ha scoperto che la nostra non è affatto una Scuola così inclusiva come si dice. Non possiamo quindi che concordare con Nicola Tomatis sull’importanza dell’esame di Maturità. Con prove calibrate e fattibili e senza aiutini. Ovviamente questo esame va adeguato ai tempi: il che non significa però che va reso più facile. Tutto il contrario. I tempi attuali ci vedono in recessione economica, in mezzo a guerre e, come tutti abbiamo toccato con mano, all’interno di una situazione sociale nella quale non è scontato, pur pagando, trovare affidabilità professionale e competenza. Sì, guarda caso, proprio la competenza, quella di cui tanto parlano i ministeriales e i Pedagogisti!
Sono naturalmente d’accordo su tutto, aggiungerei solo che si può anche discutere sulle “tecnicalità” dell’esame, si possono anche ipotizzare cambiamenti della forma attuale, quello che importa però è che l’esame ci sia, che non sia una bazzecola o un pro forma, e che quindi sia e divenga un’esperienza seria e significativa. Tutto il resto è la solita fuffa.