Istruzione
Il supercomputer controllava e dirigeva tutte le attività vitali di Novaterra, un sistema sociale ed economico che era riuscito a realizzare uno dei grandi sogni dell’umanità: la fine del lavoro e di ogni tipo di fatica. I misoneisti erano stati sconfitti da anni. Ma un giorno…

Omaggio a I. Asimov
Adam correva inseguito dai ratti giganti, era andato a cercare tuberi e radici e si era imbattuto in cinque, sei esemplari di quegli animali grandi all’incirca come un cane di taglia media, relativamente inoffensivi se solitari, ma pericolosi in gruppo. Per fortuna i ratti, praticamente senza nemici, erano diventati grassi, lenti e pigri, dopo poche decine di metri desistettero.
Adam aveva forse dodici anni, almeno così diceva la nonna, ma gli riusciva difficile capire cosa ciò significasse, la nonna gli aveva spesso parlato di pianeti che ruotano intorno a un sole, di stagioni, di piante enormi chiamate alberi, di grandi animali, di un tempo prima del Grande Buio.
Tutto questo non riusciva a immaginarlo, a parte le rocce, a perdita d’occhio non esisteva nulla che superasse la sua altezza, il cielo era sempre grigio, la temperatura era costante tutto l’anno, mai troppo caldo, mai davvero freddo, solo un’alternanza di periodi più o meno piovosi, e non aveva mai visto una cosa vivente più grande dei ratti giganti.
Nella corsa affannosa aveva perso quasi tutti i tuberi che aveva nella bisaccia, rischiava di tornare a casa a mani vuote, andò quindi a controllare le trappole che aveva messo qualche giorno prima.
Era stato fortunato, almeno una decina di saltatrici si dibattevano nei lacci, con molta precauzione Adam spezzò loro il collo e le ripose nella borsa, erano insetti grandi circa come le sue mani con grosse zampe posteriori, dotati di un formidabile apparato masticatorio che potevano saltare fino a tre, quattro volte la sua altezza. Cotte sulle braci erano squisite, stasera lui e la nonna avrebbero banchettato.
Il Presidente Warola era un uomo di circa cinquant’anni alto, imponente, barbuto, col solito colorito giallastro dei novaterriani, aveva convocato urgentemente il Consiglio ristretto e aspettava impaziente misurando la stanza a grandi passi. Gli erano arrivate voci di un malfunzionamento di Ocima ed era piuttosto seccato per non esserne stato informato direttamente. Ford l’ingegnere capo, Fouché il ministro degli interni, Džugašvili il capo della polizia, Bellini il ministro dell’economia, Caleb il sommo sacerdote, arrivarono tutti insieme.
Dopo frettolosi convenevoli Warola prese di petto la questione e si rivolse all’ingegnere capo:
“Cosa è questa storia di un malfunzionamento di Ocima?”.
Ford si schiarì rumorosamente la voce: “sì, qualcosa di vero c’è.”
“Come sarebbe a dire qualcosa di vero. In tutta la nostra storia non c’è mai stato nessun problema con Ocima, al massimo qualche disconnessione delle periferiche che i tecnici risolvono facilmente.”
“E perché non mi avete avvisato subito?”
“L’ingegnere si guardava intensamente la punta delle scarpe. “hum, ecco, pensavamo a una cosa temporanea.”
“Da quanto tempo va avanti questa cosa?” – “Circa cinque ore.” – “Portatemi immediatamente al cospetto di Ocima.”
Dopo mangiato la nonna cominciò a raccontare dei tempi di prima del Grande Buio. Parlava di prati, foreste, di posti dove si riunivano tante persone, di mare e fiumi, di cieli azzurri, di spettacoli, di musiche, lei non aveva vissuto tutte quelle cose ma le aveva sentite dalla sua di nonna che a sua volta le aveva sentite raccontare, e Adam riusciva a capire ben poco, gli danzavano davanti agli occhi immagini di cose colorate, vive, che però non prendevano quasi mai una forma precisa.
Poi la nonna gli chiese di andare a prendere un libro. In un angolo della caverna dove vivevano c’era una cassa che conteneva degli oggetti vecchissimi e molto strani, dei parallelepipedi di varie misure e peso costituiti da uno strato più o meno spesso di pellicole di un materiale biancastro molto sottile e fragile, sulla superfice di queste pellicole si potevano vedere dei segni, a volte molto sbiaditi, che si ripetevano in tante combinazioni diverse, La nonna ormai era quasi cieca ma qualche anno prima gli aveva insegnato che quei segni si chiamavano lettere e gli aveva insegnato a
decifrarli, gli aveva insegnato a leggere. Adam estrasse dalla cassa uno di quegli oggetti e cominciò a compitare: “Ro–bert Lou-is Stev-en-son, L’iso-la del te-so-ro.”
Ocima si trovava sul fondo di un’antica miniera di sale a più di mille metri sotto la superfice. Il piccolo gruppo di persone dopo un’interminabile serie di gallerie, corridoi, ascensori si trovò davanti al supercomputer. Tutte le luci e i monitor 3d erano spenti.
Warola esordì: “Ti saluto Ocima, c’è qualcosa che non va?”
Dopo un tempo interminabile si udì una risposta. “Per riavviare il sistema digitare la password.”
Il Presidente si rivolse a Ford, l’ingegnere capo: “Cosa diavolo sta dicendo?”
Ford prese la parola: ”Ecco, Ocima, potresti spiegarti meglio?”
“Per riavviare il sistema collegare la tastiera e digitare la password.”
Tutti si guardarono smarriti.
“Oh insomma Ocima” riprese Warola “la vuoi smettere di scherzare. Cosa cavolo sta succedendo!”
“Per riavviare il sistema digitare la password … digitare la password … digitare la password…”
A Warola sembrò di sentire una inequivocabile sfumatura di irrisione nelle parole del computer.
La nonna non perdeva mai il suo buonumore e lo esortava a continuare le esplorazioni intorno alla caverna, gli diceva: “Adesso stai diventando più grande e forte, cammina, allontanati di più, prendi con te una bisaccia di cibo, il coltello e l’esca per il fuoco, io posso cavarmela anche da sola per qualche giorno. Troverai qualcuno, come ci siamo noi ci sarà di sicuro qualcun altro.”
Adam ascoltava e cercava di non disperare, alle volte la sera prima di dormire, senza farsi sentire perché la nonna non si preoccupasse, cercava di ricordare il volto dei suoi genitori, pensava al tepore, al profumo della mamma e al sorriso rassicurante del papà e piangeva.
Il Presidente si rivolse all’ingegnere capo: “Voi siete il responsabile di Ocima e di tutto il sistema di connessioni e periferiche, non so come altro dirlo, ma mi sembra che Ocima vaneggi, cosa potete fare?”
Dopo un lungo silenzio, Ford cominciò: “Beh… ormai quasi sei ore fa, quando em … il problema … si è manifestato, coi miei collaboratori abbiamo provato più e più volte a impartire tutti i comandi usuali e tutti gli altri conosciuti ma non c’è stata nessuna reazione, niente, nessuna risposta, nessuna immagine, nessuna luce, niente di niente…”
– “oh insomma siete pur sempre il capo ingegnere, potrete pure aprire qualche sportello, spingere qualche tasto, darvi da fare con un cacciavite.”
Ford a capo chino studiava minuziosamente le piccolissime crepe del cuoio delle sue scarpe, ci vedeva confuse immagini che non gli piacevano affatto.
Warola proruppe: “Dunque non avete la minima idea di come funziona quel coso!”
Caleb, vestito con una palandrana rossa, alto, magro, di età indefinibile, con un viso rugoso e appropriatamente ieratico, interloquì irosamente:
“Ocima non è un coso. E’ stato mandato da Dio per la nostra salvezza, ci è stato donato nei tempi dei tempi per provvedere a tutti i nostri bisogni, Ocima è sacro, ma le nostre genti hanno abbandonato la religione, vivono nell’ozio e nel peccato dimenticandosi delle adorazioni, delle preghiere, i templi sono sempre più vuoti. La distruzione è su di noi.”
Detto questo, e a tutti i presenti sembrò che nel tono usato dal sommo sacerdote ci fosse stato un certo compiacimento, Caleb uscì.
Warola disse: “Forse è meglio che quel vecchio rimbambito si sia tolto dai piedi, ma adesso dobbiamo capire cosa fare.”
Seguì un lungo silenzio, nessuno voleva trarre le conclusioni, dirlo a chiare lettere, ma tutti sapevano bene che il supercomputer controllava e dirigeva tutte le attività vitali di Novaterra. Le centrali a fusione per l’energia elettrica, le miniere, le fabbriche automatizzate, la purificazione dell’aria, il trattamento delle acque e le colture idroponiche, le colture di lieviti e batteri, i servizi medici e sanitari, le mille e mille cose indispensabili in una società progredita e complessa, per non parlare del cinema 3D iper-sensoriale, degli stimolatori erotico-onirici e dei regolatori dell’umore, assolutamente necessari in un sistema sociale ed economico che era riuscito a realizzare uno dei grandi sogni dell’umanità, la fine del lavoro.
Warola si rivolse al ministro dell’economia: “Bellini, se Ocima smettesse definitivamente di funzionare per quanto ne avremmo?”
“Considerando i serbatoi, i magazzini, gli accumulatori, i generatori ausiliari, è difficile dirlo…, qualche settimana…, forse con un razionamento molto drastico qualche mese”.
Il Presidente continuò: “Fouchè, Džugašvili, per quanto tempo riusciremo a tenere segreta la cosa?”
Adam non si era mai allontanato tanto da casa, la giornata non era stata buona, aveva trovato solo qualche radice, aveva visto un paio di lucertole delle sabbie, animali di colore rossastro lunghi quanto un suo braccio, con sei zampe, veloci e pericolosi, alle volte a prezzo di estenuanti appostamenti ne aveva uccisa qualcuna colpendola con una pietra, ma oggi non ci era riuscito.
Era molto triste, la nonna gli aveva detto che probabilmente non le restava più molto tempo e quindi doveva fargli sapere tutto quello che lei ricordava. Ai tempi della sua bisnonna, aveva detto, c’erano molte persone, in gruppi anche di dieci e più, Adam sapeva contare, e non era impossibile incontrarsi, ma succedeva che quasi tutti più o meno velocemente divenivano ciechi fin da molto giovani, dall’età di Adam o poco più, la nonna diceva che forse era qualcosa nell’aria, o nella luce, o nelle nuvole, dopo la cecità cominciavano a sentirsi molto deboli e poco tempo dopo morivano, però ogni tanto nasceva qualcuno che riusciva a sopravvivere più a lungo, quindi da qualche parte esistevano sicuramente altre persone e il suo compito sarebbe stato d’ora in poi quello di trovarle.
Adam qualche tempo prima durante la stagione delle piogge era riuscito a guardarsi in un laghetto e aveva scoperto che i suoi occhi erano diversi da quelli della nonna, non aveva capito bene il perché ma non era riuscito a dirglielo.
Mentre preoccupato si guardava intorno per ritrovare la strada del ritorno, si accorse che a qualche metro c’erano delle impronte sul terreno polveroso che non riconosceva, si avvicinò per vedere meglio. Sembravano di piedi umani…
Okada il ministro dell’istruzione era stato convocato d’urgenza e messo rapidamente al corrente. “Sappiamo tutti che la storia di Novaterra è un inestricabile amalgama di superstizioni, dogmi religiosi, fantasticherie, illazioni, un argomento che si cerca di evitare accuratamente. La tradizione religiosa che parla di un Dio che trae gli uomini dal fuoco del centro della terra e per salvarli dona loro il sacro Ocima sta perdendo forza, ma poiché in effetti non esiste nulla di alternativo che abbia una maggiore credibilità è quella che si continua a insegnare ai bambini.”
Intervenne il Presidente: “Sì certo questo lo sappiamo, ma non è per questo che abbiamo bisogno di te. Il punto è che, come già ti abbiamo detto, Ocima sembra delirare, utilizza parole insensate come tastiera, digitare, password… A meno che invece siamo noi che non le conosciamo, a meno che non esista un qualche sistema per comprenderle, ma Ocima non si è MAI comportato così, sia Lui che tutte le periferiche parlano sempre con estrema chiarezza utilizzando parole comprensibili da chiunque e le periferiche delle scuole parlano in modo da farsi capire anche dai bambini più piccoli”.
Okada rispose: “chiamerò Bibulos.”
Bibulos era il più anziano dei maestri di Novaterra, era un ometto piccolo, curvo, calvo, con una gran barba bianca, si muoveva lentamente e con circospezione ma i suoi occhi lampeggiavano ancora come se fosse al cospetto di una scolaresca. “Ricordo che ero ancora molto giovane quando il mio maestro Devon, il più grande dei pedagogisti del suo tempo, mi parlò di un suo bisnonno vissuto durante la Grande Guerra contro i misoneisti. Bene, per quel che ricordo a dire di Devon, che me ne parlò ma precisando che non ci credeva affatto, questo personaggio sosteneva che esistesse un altro metodo per trasmettere informazioni e istruzioni.”
Si intromise Fouchè: “Un altro modo? Che sciocchezza! Lo sanno tutti che tutto ciò che ci serve comunicare e sapere passa o per le voci o per le immagini.”
“Beh certo…, i misoneisti persero, furono quasi tutti sterminati, e ora se ne è addirittura persa memoria.”
Riprese Warola: “E cosa sarebbe questo metodo?”
“Mah, sono passati tanti anni, ma mi sembra di ricordare che si chiamasse… hum … leggere e scrivere.”
Ford ebbe un’intuizione. “Ricordo che parecchi anni fa quando presi servizio, vidi in fondo a un corridoio qui vicino una massiccia porta di metallo chiusa, chiesi informazioni ma nessuno ricordava cosa ci fosse al di là della porta e come aprirla, feci vari tentativi per rintracciare le chiavi, poi col tempo me ne scordai completamente.”
Il Presidente ordinò: “Džugašvili chiamate i soldati.”
La porta d’acciaio si rivelò un osso duro. Dopo averla scardinata si trovarono davanti a uno stanzino di circa due metri per tre, con un piccolo tavolo e scaffali alle pareti. C’era odore di muffa e uno strato spessissimo di polvere, sugli scaffali oggetti a forma di parallelepipedo di varie forme e dimensioni.
Ne scelsero qualcuno a caso per esaminarli meglio. Alcuni erano costituiti da strati di pellicole sottili e fragilissime, gli altri invece erano più usuali ma non più comprensibili, una sorta di tavolette di plastica con un filo, ricoperte da quadratini disposti in righe, su ogni quadratino era inciso un segno diverso. Okada se ne accorse per primo: “Guardate” disse, “sulle pellicole ci sono dei segni che sono praticamente uguali a quelli che sono sui quadratini.”
Il Presidente che intanto stava passeggiando nervosamente, all’improvviso si rivolse a tutti i presenti: “A Novaterra c’è qualcuno che sa leggere?”
Adam guardava le impronte e sentiva il cuore battere forte, a certo punto gli sembrò di sentire strani rumori, si concentrò e capì che si trattava di una voce, Adam non ricordava la voce dei suoi genitori, l’unica persona che avesse davvero conosciuto era la nonna, sentiva una voce che assomigliava alla sua, era una voce femminile, ma gli sembrava più giovane. Sentiva distintamente la voce ma non riusciva assolutamente a capire ciò che diceva. Si guardò intorno ma non vedeva nessuno, a poco a poco capì, la voce era dentro la sua testa.
Tornato a casa raccontò tutto alla nonna insieme alla questione degli occhi, la nonna accolse le notizie con grande gioia, e Adam ne fu molto contento.
“Bisogna andare in superfice.” Tutti i presenti guardarono Warola sbigottiti.
Okada intervenne timidamente: “Con il dovuto rispetto Presidente, sappiamo che 57 anni fa, l’ultima volta che qualcuno andò fuori non tornò più, come del resto tutte le volte precedenti.”
“Non è del tutto esatto” precisò Fouchè “uscirono in quattro, dopo dieci giorni ne tornò uno solo, semicieco e delirante, morì dopo poche ore. Da quel momento il condotto fu fatto saltare con la dinamite.” – “Bisogna andare in superficie”, ribadì Warola “e se necessario lo farò io stesso. Non capite che qualche mese passa in fretta e se non riusciamo a comprendere ciò che è successo rischiamo di aspettare che qualcosa succeda e poi perire tutti? Lo so è difficile, forse impossibile, ma non posso pensare di non averci almeno provato. Bisogna andare fuori.”
Adam e la nonna stavano dormendo profondamente. La sera prima dopo avere cenato, Adam aveva preso un recipiente cavo contenente un liquido torbido, aspro, che la nonna gli aveva insegnato a fare mettendo a macerare certe bacche violacee e dolciastre e che bevevano solo nelle grandi occasioni, quando cioè la nonna voleva commemorare, o credeva di ricordare, eventi importanti del passato. Il sapore non era granché ma il liquido dava una piacevolissima sensazione di rilassamento e leggerezza, inoltre aiutava ad addormentarsi.
Adam sognava, si trovava in un posto che non aveva mai visto, il terreno era tutto verde, ma non il colore sbiadito che avevano i bassi cespugli, o i licheni attaccati alle rocce, un verde intenso, brillante, il cielo era incredibilmente azzurro e luminoso, poco lontano da lui si trovava una gran quantità di acqua, molta, molta di più di quella degli stagni fangosi che si formavano dopo le grandi piogge, e anche l’acqua aveva un colore straordinario che non aveva mai visto, una specie di verde brillante e intenso con insieme una tonalità di azzurro. Al bordo dell’acqua vide delle figure che avanzavano lentamente verso di lui, dovevano essere altre persone, man mano che si avvicinarono riusciva a vederle meglio erano due adulti e una ragazzina che lo guardavano con tenerezza.
All’improvviso cominciarono a gridare, si sentivano anche dei colpi sordi, Adam si svegliò.
Impaurito e insonnolito si diresse verso l’ingresso della caverna, alla luce fioca dell’alba vide quattro persone sulla soglia. Erano vestiti in modo complicato e portavano strani bastoni e oggetti metallici, avevano un’aria minacciosa ma anche timorosa e titubante, nel vederlo tutti si fermarono e fecero gesti che volevano essere rassicuranti, poi uno solo, molto lentamente si avvicinò di più, fino a circa due metri, tenendo il capo un poco chino, anche perché era parecchio più alto di lui, gli rivolse la parola: “tu…, tu sai leggere?” Dopo un momento Adam annuì e fece segno al suo interlocutore di aspettare, ci sono gesti tra gli umani che sono pressoché universali, rientrò nella grotta, e ne riemerse poco dopo tenendo in mano un fascicolo sottile ma piuttosto grande, lo aprì davanti a quello che a tutti gli effetti sembrava essere il capo, gli mostrò delle figure colorate che rappresentavano cose e oggetti, alcuni noti e altri no, gli prese la mano e gli fece toccare col dito il segno che stava sotto la prima figura. “ Questa è la A.”