La vittoria dell’eretico
Un insegnante, lavorando da solo in una realtà finora considerata svantaggiata, fra lo scetticismo generale l’ha portata ai vertici nazionali nel campo dell’informatica, senza spendere un solo euro, in soli due anni. In questo articolo ci racconta i suoi segreti.

Per una volta si era aperto uno spiraglio. Avrei potuto facilmente dimostrare l’inconsistenza della scuola dei progetti e la netta superiorità del semplice studio. Lo spiraglio si era aperto proprio davanti ai miei occhi, mi chiamava, mi ci sono buttato, ho vinto in pantofole. Adesso cercheranno di sminuire la portata ed il significato della mia vittoria, negheranno, nasconderanno, metteranno a tacere. Mi affido pertanto agli amici del Gessetto per salvare dall’oblio questo episodio, sperando che il mio racconto possa essere di ispirazione per qualcun altro.
Tutto iniziò nel pomeriggio del 14 maggio 2024, durante la cerimonia di premiazione dei “Giochi di Fibonacci“. Si tratta di una gara nazionale online per le scuole del primo ciclo in cui vince il ragazzo capace di inventarsi algoritmi su due piedi. La premiazione avvenne in diretta YouTube. C’erano gli organizzatori ed una rappresentante del MIM, la prof.ssa Anna Brancaccio. Di lei altro non so, ma tanto basta. Al termine della premiazione commentò a caldo:
“Io vedo che la scuola va avanti. Con difficoltà in certi casi, in certe regioni d’Italia; perché questo poi, forse, è il vero problema, cioè: io ho visto che molti premi sono di ragazzi, diciamo … del Nord e … un po’ del Sud. Però, insomma, non c’è una, come dire, una equidistribuzione di questi talenti. Ma, forse, probabilmente, diciamo che le scuole, forse, di queste regioni del Nord sono più propense a mettersi in gioco, perché costa fatica alla scuola organizzare queste cose, diciamocelo, cioè non è una cosa banale.“
Dal punto di vista numerico aveva ragione da vendere: delle otto medaglie d’oro, sette erano andate al Nord, una al Centro e nessuna al Sud. L’anno precedente? Le medaglie d’oro erano andate tutte al Nord. I numeri erano incontestabili ma non condividevo la teoria. Scorsi tante falle logiche in quel discorso: (1) Non si può giudicare l’impegno semplicemente contando le medaglie vinte, che vanno a premiare il singolo alunno, senza andare a vedere cosa è stato realizzato nelle scuole. (2) L’ultima affermazione è campata per aria. Organizzare la partecipazione a una gara del genere non costa fatica ed è banale. (3) Anche il suggerimento implicito ad impegnarsi di più è fuorviante. Se lo scopo fosse stato quello di conquistare una medaglia d’oro, sarebbe stato più produttivo focalizzare il proprio intervento su di un unico alunno ed abbandonare al loro destino gli altri. (4) Io sono un meridionale ed insegno in una scuola meridionale, eppure sono sempre pronto a mettermi in gioco.
Nei giorni successivi maturai la decisione di rispondere con i fatti: dovevo costringere la prof.ssa Brancaccio a rimangiare le proprie parole nel 2025. Non avrei chiesto l’aiuto di nessuno, non avrei chiesto fondi, non avrei presentato progetti. Dovevo solo prendermi questa soddisfazione personale; al resto ci avrei pensato dopo. Visto che al MIM non interessa quello che imparano i ragazzi, interessa solo sapere dove vanno le medaglie d’oro, mi sarei concentrato su quell’unico obiettivo. La rivalità Nord-Sud non l’ho mai avvertita in vita mia, neanche in questa occasione, non mi sono mai sentito discriminato come meridionale. Ciò che mi attraeva era la facilità dell’impresa. Avevo notato che, negli anni precedenti, nessun ragazzo aveva terminato la prova finale a punteggio pieno. Per me significava che non c’era concorrenza. Mi sarebbe bastato allenare un paio di ragazzi ed avrebbero vinto.
Per prima cosa scrissi il libro sul quale i miei studenti si sarebbero potuti preparare. Lo intitolai: “Come vincere i giochi di Fibonacci”. Meglio dichiarare apertamente le mie intenzioni! Le idee mi vennero abbastanza facilmente, ci misi un paio di settimane a completare l’opera. Lo scrissi su Google workspace per poterlo condividere senza stamparlo e per poterlo aggiornare in ogni momento senza ristamparlo. Il libro era lungo oltre duecento pagine. Per quanto mi sforzassi di rendere la lettura più agevole e fluida, continuava a non essere accessibile per tutti. Fui pratico: il mio fine non era né quello di vendere il libro né quello di farlo leggere. Mi sarebbe bastato un solo lettore, ma sufficientemente ambizioso. Mi limitai ad inserire nell’introduzione la promessa che ero pronto a chiarire, su richiesta, qualsiasi paragrafo.
Terminate le vacanze, riaperte le scuole, uscii allo scoperto. In qualità di referente della mia scuola, l’anno precedente avevo creato una classe virtuale su Classroom. Nel frattempo alcuni alunni avevano dato gli esami ed erano passati alle superiori. I due terzi erano ancora presenti. Condivisi con loro il libro che avevo scritto fra maggio e giugno e invitai tutti a prepararsi perché anche quest’anno avremmo partecipato alla gara.
Avvenne però qualcosa che non avevo previsto e che rischiò di mandare tutto all’aria. Le mie colleghe erano scettiche, per non dire contrarie. Non erano d’accordo sul fatto che la scuola partecipasse e non riuscivo a far loro cambiare idea, per quanti argomenti portassi a sostegno della mia causa. Si creò così una situazione di stallo. Per due mesi non si mosse nulla e credevo che non si sarebbe più mosso. A parole non mi arrendevo, ma in cuor mio ero rassegnato ad un nulla di fatto. Poi, in extremis, la situazione si sbloccò per motivi che ancora mi sfuggono. Forse qualcuno è intervenuto a mia insaputa, forse le mie colleghe si stancarono di opporre resistenza, forse sono stati i loro alunni a chiedere di partecipare (così saltavano un’ora di lezione). Insomma: ci iscrivemmo! Senza alcuna preparazione, eravamo dentro.
Devo dare atto agli organizzatori di aver semplificato al massimo la partecipazione. Sono estremamente flessibili e attenti alle richieste degli iscritti. Tutto questo è pure gratis! Per il giorno 12 dicembre, partenza dei Giochi, le scuole medie iscritte in tutta Italia erano più di cento, per un totale di 5.845 ragazzi. Le prime due fasi si sono svolte all’interno dei singoli istituti, collegandosi online alla piattaforma web dell’organizzazione. Dopo la scrematura iniziale di dicembre, abbiamo atteso la seconda prova, in programma il 13 febbraio, che ha infine selezionato 163 finalisti in tutta Italia, tre dei quali frequentanti la mia scuola.
Fino al 13 febbraio non ero quasi intervenuto. Mi ero limitato a due brevi collegamenti da casa mia, con Google Meet, per spiegare il regolamento e le modalità di allenamento casalingo ai ragazzi che partecipavano per la prima volta. Avevo abbandonato i ragazzi a loro stessi ed alla selezione naturale. I tre sopravvissuti erano i più fortunati? Perfetto, quello di cui io avevo bisogno era proprio tanta fortuna. Oppure erano i più autonomi? Oppure i più combattivi? Bene anche in questi casi, avevo bisogno di ragazzi autonomi e combattivi.
Proposi ai tre ragazzi finalisti di allenarsi a scuola per un’ora, extracurricolare, a settimana. Nel 2025 non è facile trovare un’ ora vuota nel pomeriggio di un ragazzo, figuriamoci di tre. A forza di insistere e di mediare ci siamo resi tutti disponibili, in primo luogo io che tornavo a scuola gratis. Nel mio progetto iniziale non avevo pensato a cosa fare a questo punto ma, ora che c’ero arrivato, era una strada obbligata verso la vittoria. Era necessario stimolare i ragazzi e lo potevo fare solo in presenza. Non c’era speranza di fare approvare un progetto a febbraio, per giunta con appena tre destinatari. Mi sono risparmiato la fatica di presentarlo. Ho fatto volontariato. Per questo ho affrontato le critiche di mia moglie. Cosa avrei dovuto fare? Rinunciare a sognare? Una vita senza sogni è una vita tetra. Mia moglie ha compreso.
Quando ci siamo incontrati per la prima volta, ho scoperto che le cose erano andate diversamente da quel che avevo sperato: il mio libro non era stato letto; i ragazzi preferivano usare Scratch rispetto ai linguaggi di programmazione tradizionali; non avevano imparato il linguaggio Javascript che io consigliavo nel mio libro; non conoscevano i quesiti delle precedenti edizioni; non prevedevano di allenarsi a casa. Ho accettato tutto ciò stoicamente. La mia priorità era la tranquillità dei ragazzi. Non dovevano sentire la pressione della gara che li attendeva e non dovevano perdere la gioia di smanettare sul computer. Era necessario che vivessero questa esperienza spensieratamente, come una rara occasione in cui si ha tutto da guadagnare e nulla da perdere.
Il mio lavoro in questi incontri pomeridiani era molto semplice. Arrivavo e sceglievo un quesito; ad esempio: “Trovate sul sito ufficiale il quarto quesito della seconda fase del 2023. Il primo di voi che lo risolve vince”. Poi rimanevo seduto al centro dell’aula, in silenzio, per quasi un’ora, a controllare che i ragazzi non barassero. Al secondo incontro mi chiesero delucidazioni sulla traccia. Non ero sicuro di ricordamela e mi venne spontaneo di dire: “Ragazzi, il giorno della gara io non potrò aiutarvi. Nessuno vi potrà aiutare”. Essi capirono, tacquero e raddoppiarono l’impegno. Era un po’ noioso per me rimanere in silenzio a guardare loro; ne approfittavo per riposarmi dalle fatiche della mattina. Solo negli ultimi cinque minuti, quando chiedevo loro di smettere, di tornare a casa per consultare il mio libro e trovare la soluzione, mi rendevo disponibile alle loro domande. Mi mostravano il loro codice e mi chiedevano il motivo per cui esso non funzionava. In quei pochi minuti lasciavo che parte della mia esperienza passasse a loro per osmosi.
Nell’ultimo incontro, esattamente sette giorni prima della gara, scelsi un quesito chiamato “Fortuna”. Nessuno riuscì a risolverlo. Sembrava che i nostri allenamenti precedenti non ci avessero condotti da nessuna parte. Feci finta di nulla. Forse allora capirono che sarebbe stato utile studiare a casa? Lo fecero?
Arrivò la finale del 16 aprile. Tutti i partecipanti rimasero tre ore sempre davanti al computer, senza alzarsi un attimo. Al termine erano sfiniti. Con mia sorpresa e sollievo, i miei ragazzi andarono meglio che durante gli allenamenti. Molto meglio. Capimmo di aver ottenuto qualcosa ma non conoscevamo i risultati degli avversari. La classifica è stata resa nota solo al momento della premiazione del 9 maggio, anche questa volta in diretta YouTube.
Ecco il consuntivo della premiazione: abbiamo vinto due medaglie d’oro ed una di bronzo. Siamo la prima scuola statale d’Italia. Ci ha superato solo una scuola privata in lingua inglese: loro ne hanno vinte due d’oro ed una d’argento. Se non bastasse, un nostro alunno è secondo a livello nazionale. Se ancora non bastasse, in due anni abbiamo conquistato cinque medaglie con quattro ragazzi diversi. Se ancora non bastasse, la nostra è stata una delle prime due scuole meridionali a vincere l’oro. La prof.ssa Brancaccio è intervenuta ma non ha più fatto confronti fra aree geografiche.
Missione compiuta? Dal mio punto di vista al 100%. Mi aspetto, però, tante possibili obiezioni tese a minimizzare l’accaduto, alcune delle quali fondate, altre no:
- Il merito della vittoria va ascritto ai protagonisti principali, non certo al loro allenatore. Si tratta della nuda verità. Auguro un roseo futuro ai miei meravigliosi ragazzi. Personalmente non otterrò né premi, né riconoscimenti, né nuovi contratti, né maggiore considerazione. Per me non cambierà nulla. Eretico ero ed eretico rimango. Chi vorrà conferme alla sue teorie pedagogiche, per quanto fallimentari esse siano, riuscirà a scorgerle anche in questa vicenda.
- È stato troppo facile. Le vittorie importanti sono quelle sudate. Figuriamoci cosa accadrebbe se mi venisse lasciata mano libera e potessi dare fondo a tutte le mie conoscenze e a tutte le mie energie! Generalizzando: chissà quanta ricchezza culturale giace nelle menti degli insegnanti e non viene utilizzata da una scuola sempre pronta abbassare i propri obiettivi e mai ad alzarli!
- È stato facile per te perché sei un esperto. Preferite far insegnare gli ignoranti?
- Se sei così bravo perché non passi alle superiori? Al massimo dovrei andare alla primaria. Le basi vanno costruite in tenera età.
- Saresti capace di portare allo stesso livello tutti gli altri alunni? Ovviamente no e ciò vale per ogni insegnante. La mia scuola ha portato in finale solo i migliori. Altrettanto hanno fatto le altre scuole. I risultati ottenuti, però, sono differenti. Il brutale conto delle medaglie era il metro col quale fui giudicato e commiserato lo scorso anno, non lo si può cambiare proprio ora che mi sono preso la rivincita!
- Una rondine non fa primavera. Sono uno scienziato e so che i risultati devono essere riproducibili. I nostri due alunni di punta frequentano ancora la seconda media. Hanno le carte in regola per ripetersi e migliorarsi il prossimo anno, bissando il successo. Non credo, però, che verrà permesso altrettanto a me.
- Lavorare gratis non è corretto. Sono pienamente d’accordo. Queste cose non dovrebbero accadere. Per affermare la mia libertà e le mie convinzioni sono stato costretto a mettere momentaneamente da parte un mio principio così importante.
- Questa storia sembra troppo particolare e individuale. Questa vicenda riguarda tutti gli insegnanti perché dimostra che la preparazione nella propria materia è mille volte più importante di qualsiasi metodo didattico, di qualsiasi ambiente di apprendimento, di qualsiasi diavoleria tecnologica. Se solo si lasciassero gli insegnanti liberi di approfondire ed aggiornare i contenuti della propria disciplina invece che opprimerli con burocrazia e corsi di formazione…
- I bravi insegnanti sono quelli che si dedicano ai ragazzi difficili; gli insegnanti che lavorano con le eccellenze sono superflui perché i ragazzi eccellenti imparano da soli. Questa è una tipica frase da social, tanto stupida e cieca da non meritare alcuna risposta oppure da meritare un articolo a parte del Gessetto. Incontro da anni colleghi felici di corrispondere a tale stereotipo. Chiedete a INVALSI e CENSIS se i ragazzi difficili hanno imparato a leggere e scrivere.
Complimenti al collega. La sua storia dimostra tutto il valore della figura dell’insegnante artigiano, che usa le risorse della scuola, per realizzare un suo progetto didattico-educativo valorizzando al massimo i suoi studenti e, nel contempo, stando sagacemente al centro dell’operazione. Da quanto si legge, si ricava indirettamente che volere imbrigliare, burocratizzare e monetizzare queste iniziative non è la strada giusta. Attivismo e spontaneità quindi? Sì, soprattutto del docente che sa dove andare e come andarci. Questa è la strada da seguire per rimettere in piedi la Scuola.