Tex Willer e i Mammut
Gli studenti con problemi di ansia sono in vertiginoso aumento, bisogna tenerne conto e fare qualcosa ma siamo sicuri di fare le cose giuste?

Provate a immaginare una scena di diecimila anni fa in una steppa dell’attuale Siberia; un gruppo di Homo Sapiens che corrono, urlano, e con lunghe lance appuntite di legno cercano di spingere in un dirupo o in una grande buca preventivamente apprestata, un grosso e temibile Mammut. Chissà che paura avevano i poveri nostri antenati, chissà che ansia, e quanti ne saranno morti prima di mettere bene a punto una tecnica efficace di caccia? Cosa ci guadagnavano? Un tesoro di carne, grasso, lana, zanne, per la tribù.
Immaginiamo adesso, invece, un Sapiens diciannovenne dei nostri tempi che non si sia mai trovato ad affrontare una situazione incerta, un compito gravoso, un pericolo di qualsiasi genere: che tipo di carattere potrebbe avere maturato?
La paura e l’ansia sono emozioni universali che assolutamente tutti gli uomini condividono e affrontano, come le altre emozioni sono frutto dell’evoluzione, e se gli esseri umani fossero stati del tutto privi di paura e ansia la nostra specie molto probabilmente si sarebbe estinta. Prevengo l’obiezione, so bene che paura e ansia non sono la stessa cosa, ma sono stati d’animo evidentemente connessi e ai fini di questo mio scritto ciò mi basta.
L’ottimo Daniele Novara e altri psicopedagogisti gridano: non vorrete mica interrogare i bambini?! En passant rilevo che i nostri sedicenti esperti di scuola (quanti sono davvero tutti i giorni nelle aule?) sembrano parlare quasi esclusivamente di scuola primaria, importantissima chiaro, perché lì e nella materna ci sono le basi di tutto, ma sembrano ignorare che uno studente delle medie ha un grado di maturazione psico-fisica differente e uno delle superiori un altro ancora.
“Interrogazione” non ci piace? Vero, ha un suono vagamente poliziesco, chiamiamola conversazione, colloquio. Io penso che chiedere a un bambino di sei o sette anni di parlare, in modo semplice ma ordinato e appropriato, di qualcosa che ha appreso o sperimentato, non sia affatto una violenza sadica ma un primo indispensabile esercizio che poco a poco arriverà poi a sviluppare una competenza assolutamente indispensabile: sapere esporre ed argomentare conoscenze, pensieri, progetti, sentimenti, emozioni.
Le verifiche scatenano l’ansia! Io sono fermamente convinto che una brava, un bravo maestro, muovendo dalla sacrosanta empatia per i propri alunni, attraverso la propria esperienza, utilizzando le appropriate didattiche, sappia graduare sapientemente le prove che un bambino può affrontare e superare, riuscendo a gestire l’inevitabile dose di ansia e conseguendo anzi un piccolo gratificante e formativo successo e se invece si incapperà in un provvisorio insuccesso (può ovviamente succedere), il docente saprà predisporre giusti tempi e modi di recupero.
Nessuno di noi è un perverso aguzzino ma siamo, penso, convinti che la Scuola abbia molte dimensioni e compiti tra i quali è decisivo accompagnare i discenti ad imparare ad affrontare appropriate prove: verifiche orali, scritte, compiti, lavori individuali e di gruppo, etc.
Gli attacchi di panico.
Al netto dei non pochi che ci marciano, il problema esiste, ma affermo con forza che non è creato dalla Scuola. Come spiegato e argomentato con dovizia di dati da molti studiosi (1), il problema del notevole aumento degli stati ansiosi nelle nuove generazioni è diventato pervasivo e drammatico per vari motivi che non hanno niente a che fare con la Scuola. Esiste anche una data precisa, almeno per gli Stati Uniti, a partire dalla quale le statistiche lo rilevano chiaramente, il 2010 (2), il problema è connesso alla massiccia diffusione dello smartphone e alla successiva presenza smodata e patologica dei minori sui social media, alla diminuzione drammatica dei rapporti interpersonali in presenza, corporei, all’atteggiamento sistematico di iperprotezione e controllo delle famiglie nei confronti di qualsivoglia esperienza dei figli che presenti anche solo un minimo pericolo.
Il problema esiste dunque, senza dubbio, e la Scuola deve tenerne conto e attivarsi in qualche modo, ma sono convinto che la rimozione programmatica di qualsiasi esperienza potenzialmente ansiogena nella ordinaria vita scolastica, sia un rimedio largamente peggiore del male.
A questo punto forse vi chiederete ma cosa c’entra Tex Willer? Un bel niente, era solo per farvi leggere il “pezzo”.
(1) Cfr. ad es. “La generazione ansiosa” J. Haidt – Rizzoli, 2024
(2) ibidem
Chiarissimo: d’accordo su tutto. Mi sia consentito a questo punto avanzare un ipotetico sospetto. Alla fin fine, togliendo all’insegnante la gestione della didattica e poi, dopo la valutazione, adesso anche l’interrogazione – due cose necessarie e tanto ineliminabilmente quanto creativamente *soggettive*, ma non per questo *arbitrarie*- si finisce per rendere superfluo il suo essere figura di riferimento e la sua funzione didattica. Approfondiamo allora il nostro ipotetico sospetto. Chi si sta, da qualche decennio, candidando a sostituire l’insegnante facendone nient’altro che un subordinato degli autoproclamatisi “esperti esterni” e della loro fallimentare psico-pedagogia, la cui traiettoria si rivela sempre più tendenzialmente anti-liberale e pericolosamente totalizzante?