Quando il dolore diventa spettacolo: una riflessione sul ruolo della scuola, dei docenti e dei social

Un altro caso di cronaca scolastica contrappone l’emotività dei familiari alla logica educativa, che non può fondarsi su un’ipocrisia suicidale per il senso della scuola.


In questi giorni sta facendo il giro del web un video molto commovente, realizzato da una madre che racconta, con parole toccanti e un montaggio emotivamente molto forte, la bocciatura del figlio autistico da parte della scuola. Un video che, comprensibilmente, smuove coscienze e suscita apparente empatia, ma che, allo stesso tempo, solleva interrogativi profondi agli addetti ai lavori, che vanno ben oltre la narrazione emozionale e toccano il cuore del nostro sistema didattico e educativo.

Come educatrice, pedagogista, insegnante di sostegno specializzata e docente abilitata, sento il dovere, etico e professionale, di intervenire con chiarezza. Non per giudicare una madre e il suo dolore, ma per riportare un po’ di verità e rigore in un discorso che rischia di diventare pericolosamente unilaterale. Perché quando a prendere parola sono solo le emozioni e non i fatti, si corre il rischio di alimentare una narrazione parziale, che trova purtroppo facile risalto mediatico presso chi della scuola non conosce né il funzionamento interno, la complessità burocratica, né tantomeno il lavoro educativo, didattico, umano che ogni giorno svolgiamo noi docenti. Troppo spesso ci si lascia trasportare dall’euforia del momento, da due frasi commoventi, da un video costruito per commuovere. Ma una clip emozionale non racconta la realtà scolastica nella sua interezza. Non dice nulla del percorso formativo, delle riunioni collegiali, del PEI costruito in sede di GLO (Gruppo di Lavoro Operativo per l’Inclusione), degli obiettivi, delle valutazioni, delle responsabilità che ricadono su ogni nostra firma. Pertanto, in certe situazioni, la parola dovrebbe spettare a chi la scuola la vive ogni giorno, con competenza e coscienza. Non a chi fa altri mestieri e non conosce “il dietro le quinte” del un sistema scolastico.

Quindi, partiamo da un presupposto fondamentale: nessuno studente certificato ai sensi della Legge 104/1992 viene “bocciato” arbitrariamente. La normativa italiana in materia di inclusione scolastica è tra le più avanzate d’Europa e prevede strumenti precisi per accompagnare gli studenti con disabilità in un percorso formativo personalizzato.

In particolare, con il Decreto Interministeriale n. 182 del 2020, che ha riformato il PEI (Piano Educativo Individualizzato), il sistema scolastico ha acquisito strumenti ancora più efficaci per definire, monitorare e adattare costantemente il percorso formativo degli studenti con disabilità. Tali strumenti non sono scelti arbitrariamente dai docenti, ma vengono costruiti collegialmente all’interno del GLO, che coinvolge anche la famiglia oltre che agli educatori scolastici e ai terapisti.

Nel caso specifico, lo studente può seguire:

  • una programmazione personalizzata per obiettivi minimi, che consente il conseguimento del diploma di scuola superiore, oppure…
  • una programmazione differenziata, che non prevede il rilascio del diploma, ma di un attestato di frequenza.

Questo non significa che si “abbassa l’asticella”, ma che si riconosce il valore del percorso fatto, rispettando i limiti e le potenzialità dello studente.

Se un ragazzo viene bocciato, cosa è successo davvero?

Quando un ragazzo certificato viene bocciato, la domanda non dovrebbe essere: “Perché non è stato promosso?”, ma: “Il percorso educativo costruito per lui e su di lui era adeguato e condiviso? È stato seguito con coerenza? Sono stati raggiunti, o non sono stati raggiunti, gli obiettivi stabiliti?”

La risposta (quasi sempre), è sì: il percorso c’era, gli strumenti c’erano, e se si è giunti a una bocciatura, è perché gli obiettivi minimi previsti non sono stati raggiunti, nonostante le risorse, le attenzioni, le strategie e gli sforzi messi in campo da tutta la comunità scolastica. È importante ricordare che la scuola non ha interesse alcuno a “punire” un ragazzo, tanto meno un ragazzo con una disabilità certificata. La scuola ha il dovere (e lo deve esercitare ogni giorno) di garantire a tutti un percorso che dia allo studente una buona istruzione.

In questo contesto, la scelta della madre di pubblicare un video fortemente emotivo e accusatorio sui social risulta, a mio parere è profondamente sbagliata, perché i social non sono la sede per giudicare la scuola, i docenti, i percorsi didattici. Non lo sono per forma, non lo sono per contenuto e non lo sono soprattutto per rispetto.

Se davvero si ritiene che vi sia stato un errore di valutazione, un abuso, un’irregolarità, gli strumenti per contestare esistono: si può fare accesso agli atti, si possono impugnare i verbali, si può fare ricorso al TAR. È un diritto. Ma non si può delegittimare l’intera istituzione scolastica con un video strappalacrime, progettato ad arte per accendere l’indignazione facile e alimentare lo scontro.

E purtroppo, tutto questo ha radici lontane, che si possono far risalire al DPR n. 416 del 1974, quando i genitori entrano ufficialmente negli organi collegiali della scuola. Una riforma importante, pensata per favorire la partecipazione. Ma che negli anni ha generato anche una confusione di ruoli: i genitori sono fondamentali, ma non sono docenti. Così come nessuno andrebbe mai da un medico a dettargli la terapia da seguire, allo stesso modo non si dovrebbe entrare in aula pretendendo di dettare criteri educativi, metodologie o valutazioni didattiche.

Noi insegnanti agiamo sempre nel rispetto della legge, del buon senso, del bene dello studente. E soprattutto, agiamo con un’etica professionale alta, consapevoli delle implicazioni (anche legali) delle nostre decisioni, poiché le scelte didattiche, educative e valutative non sono mai personali, ma sempre condivise, ponderate e documentate.

Infine, un appello sincero: basta con il falso buonismo. Promuovere un ragazzo solo per “non ferirlo”, quando non ha raggiunto gli obiettivi minimi previsti, non è inclusione: è l’ipocrisia più totale, perché un diploma regalato è un diploma vuoto. E se continuiamo su questa strada, la scuola non sarà più il luogo dove si cresce, si impara, si costruisce il futuro. Sarà solo un diplomificio senza valore, senza merito, senza direzione.

4 Commenti

  1. Grazie davvero. Mi ritrovo personalmente in tutte le parole di questo lungo post. Ogni giorno noi docenti di sostegno insieme ai curricolari approntato mille strategie di inclusione, durante le riunioni tipo GLO stabiliamo insieme criteri, modalità, contenuti, obiettivi e strategie educative nell’ottica di far crescere, maturare l’alunno/a, insegnamdogli/le un metodo di lavoro, di studio che possa renderlo autonomo. La bocciatura non è una punizione, ma solo il modo per far recuperare un alunno/a quando non sia riuscito a terminare l’anno scolastico, rispettando il suo progetto educativo stabilito, concordato e messo in atto. È importante secondo me che i genitori ripongono fiducia nella scuola ed intervengano solo se i diritti del proprio figlio/a vengano disattesi.
    Ciò accade in casi molto rari, perché a tutti gli educatori/rici sta a cuore la crescita del proprio alunno/a.
    Macò

    1. La battaglia per difendere l’ordinaria facoltà di un consiglio di classe di non ammettere alla classe successiva uno studente con disabilità è di fatto la battaglia per non ammettere un qualsiasi studente alla classe successiva. Se, là dove le tutele sono massime, queste non vengono intese come tutele del diritto di ricevere un’istruzione seria (benché commisurata ai limiti dello studente) ma vengono intese come pazze tutele dall’eventuale insuccesso, bene, non possiamo che prevedere lo smantellamento della scuola come istituzione culturale universale. Si parte dall’inclusione male intesa per arrivare ad una distruzione generalizzata.

  2. Perfettamente d’accordo ma se una scuola elementare presenta il pei a fine anno scolastico per la prima volta ed è un copia e incolla di quelli degli anni precedenti? Perché a denuncia formale al provveditorato e al ministro dell’istruzione non viene preso un serio provvedimento verso i docenti curricolari e di sostegno e al dirigente scolastico?

    1. L’unica obiezione (ma importante) che si può muovere nel merito di un caso astratto come quello che lei descrive è che NON bisogna attendere la fine dell’anno (magari dopo aver verificato la bocciatura dell’alunno) prima di avanzare lamentele o segnalazioni formali; inoltre c’è un preciso iter da rispettare: prima ci si rivolge ai docenti; poi al dirigente; poi all’ufficio scolastico territoriale… Coloro che, dopo una delusione di fine anno, vogliono invece spararla grossa tutta d’un colpo e si rivolgono al ministro o all’ONU per me hanno scarsissima attendibilità: mostrano di essere interessati solo al risultato formale, e non alla sostanza culturale del percorso.

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