Un esempio di best practice in materia di inclusione

Ci sono scuole costose, e di specializzazione metodologica avanzata, che dovrebbero mettere la museruola a tutti coloro che insorgono al sol pensiero di “percorsi speciali” per individui con profili di disabilità e neuro-divergenza. Ma in Italia siamo campioni nelle accuse, più che nelle distinzioni logiche.


Il liceo privato in cui ho insegnato Latino e Mitologia classica negli anni scolastici 2005 e 2006 si trova in California, nelle vicinanze di San Francisco. È stato il primo istituto scolastico, in quello Stato americano, a mettere a punto un percorso specifico per preparare agli studi universitari ragazzi con un profilo neuro-cognitivo particolare, e cioè con sindrome di Asperger e disturbo nel linguaggio non-verbale (NLD). A quei tempi non avevo alcuna esperienza in merito: immessa in ruolo da pochi anni nella scuola italiana, non mi era mai successo di incontrare situazioni di questo tipo e, soprattutto, di considerarle in modo approfondito in un contesto così specialistico. Si tratta di particolarità dello sviluppo neurologico il cui rapporto con l’autismo è stato a lungo discusso, ma che oggi (a partire dal DSM-V del 2013) vengono associate con i disturbi dello spettro autistico definito ad alto funzionamento. I soggetti hanno capacità intellettive e abilità linguistiche pari o spesso superiori alla media, hanno interesse per le relazioni sociali malgrado le difficoltà nel gestirle e coltivarle e sono in grado di svolgere in modo indipendente le normali attività di ogni giorno. Le caratteristiche, però, variano molto da persona a persona, comprese alcune peculiarità che possono o non possono presentarsi: è il caso di alcuni DSA, in particolare dislessia e disgrafia. In generale, i livelli intellettuali e linguistici dei ragazzi e delle ragazze Asperger possono facilmente mascherarne i problemi o spostare l’attenzione su quelli legati alla socializzazione oppure sulle manifestazioni più immediatamente evidenti, come per l’appunto gli eventuali DSA. Tuttavia, problemi notevoli nel contesto scolastico sono dovuti – sempre in misura del tutto variabile a livello soggettivo – alla compromissione nell’uso e nell’interpretazione dei comportamenti non verbali (sguardi, mimica, posture, gesti), alla mancanza almeno apparente di reciprocità emotiva, alla presenza di interessi specifici e molto ristretti che risultano anomali al gruppo dei pari, malgrado talvolta la loro qualità e intensità porti a risultati eccellenti in alcune discipline come storia o matematica. Si aggiunge la difficoltà nel gestire il lavoro scolastico, i compiti e il tempo, che porta a frustrazione, ansia e a un atteggiamento di rifiuto totale verso la scuola. In un sistema scolastico come quello statunitense, caratterizzato da forti variazioni regionali, un numero elevato di alunni per classe e una notevole enfasi sulla leadership e sulle relazioni sociali – essere “popolari”, carismatici, eccellere nello sport sono infatti indicatori di successo tanto quanto i risultati accademici, se non di più –, le difficoltà incontrate diventano enormi.

Il programma proposto dal mio liceo, fondato e diretto da una psicologa clinica specializzata in questo tipo di disturbi del neurosviluppo e dell’apprendimento, non si proponeva, e a tutt’oggi non si propone, una più o meno vaga “inclusione” nel senso di quella che viene chiamata special education, né tanto meno l’attuazione di misure volte a garantire il successo accademico tramite strumenti apparentemente compensativi dei “sintomi” di più immediata evidenza.  Nessun tipo di riduzione o semplificazione riguarda infatti le materie scolastiche, scelte con il criterio di offrire una preparazione il più approfondita possibile, almeno a confronto con gli standard delle scuole pubbliche, per garantire maggiori possibilità di ammissione al college. Tra i corsi, alcuni dei quali opzionali, vi sono quattro annualità di letteratura inglese, composizione scritta, storia mondiale e americana, scienze politiche, economia, psicologia, algebra, geometria, statistica, diritto, geochimica, biologia, anatomia e fisiologia, botanica e fisica, teatro, arte. Come lingua straniera, ai ragazzi viene proposto il latino, per una ragione precisa: dal momento che il loro profilo neurologico comporta in numerosi casi stereotipie nella pronuncia della lingua madre e, talvolta, anche qualche deficit a livello uditivo, è stata scelta una lingua che implica un apprendimento soprattutto recettivo, nel cui ambito la produzione orale ha un ruolo marginale e che valorizza le capacità logiche e la memoria, spesso superiori alla media nei soggetti Asperger. Tutti questi contenuti, però, sono inseriti all’interno di un programma interamente strutturato in modo da concentrarsi sul recupero dei deficit sociali, emotivi e visuo-spaziali in un ambiente di apprendimento sicuro, favorendo un percorso che porti all’indipendenza in vista del futuro. Questo lavoro parte dalla gestione del tempo-classe: le attività sono organizzate in modo da dare spazio alla ritualità e alla riduzione dell’ansia, e iniziano ogni giorno con la riunione in homeroom in cui l’insegnante coordinatore di ogni gruppo-classe riepiloga l’“ordine del giorno”. In questo modo, i ragazzi apprendono a gestire la propria agenda evitando di sentirsi sopraffatti dalla giornata scolastica che sta per iniziare. I gruppi contano un massimo di 10 studenti, ciascuno dotato di un computer portatile collegato con quello dell’insegnante, che così può depositare i materiali didattici e le attività da svolgere direttamente in un’apposita cartella dedicata alla sua materia: si tratta di una strategia compensativa importante per equilibrare a breve termine deficit organizzativi, caratteristici del profilo Asperger, che rendono complicato tenere un diario dei compiti e responsabilizzano il ragazzo, evitando l’ingerenza del genitore e la necessità che sia questi a consultare il registro elettronico e a ricordare gli impegni.

Tra i punti di forza della scuola ci sono i corsi speciali, obbligatori per tutti, di Study Skills Transitions and Life Skills, e Social Skills. Study Skills ha carattere metacognitivo e serve a sviluppare il metodo di studio e strategie di apprendimento personalizzate. A partire dal secondo anno, gli studenti partecipano al corso di Transitions and Life Skills volto allo sviluppo di competenze necessarie per la vita pratica, approfondendo la gestione dei social media, la comprensione e la difesa di se stessi, lo sviluppo di abilità sociali e gli obiettivi universitari e lavorativi. Per questa ragione, sono attivati anche percorsi scuola-lavoro finalizzati allo sviluppo di esperienze di vita pratica in un contesto professionale reale, scelto per soddisfare gli obiettivi e gli interessi personali.  Il corso dedicato alle abilità sociali copre invece le relazioni tra pari, la collaborazione, la gestione del tempo, lo sviluppo dell’empatia e altro ancora, incluso l’uso pragmatico del linguaggio. Gli studenti dell’ultimo anno esplorano, guidati dagli insegnanti, le competenze e le responsabilità inerenti alla vita dopo il liceo, tra cui la pianificazione del percorso accademico e/o lavorativo, la gestione del budget e della casa e la gestione di relazioni personali e professionali.

Un unicum è infine rappresentato dai corsi di educazione cinofila (Dog Program) e di progetti personali (Personal Projects). Il primo esamina il comportamento sociale dei cani come metafora di gran parte delle dinamiche umane. Lavorando con i cani, che non comunicano attraverso la parola, e imparando a decifrarne gli atteggiamenti, i ragazzi e le ragazze sviluppano le loro capacità comunicare in modo non verbale con le persone. Il programma Personal projects affina invece le competenze funzionali attraverso percorsi di  apprendimento individuali che vengono pianificati, studiati e presentati ai compagni e ai genitori ogni sei settimane, a partire da contenuti fissati dagli studenti stessi in base ai loro interessi. Ogni giorno, un’ora di lezione è dedicata a questi percorsi, con il supporto di un tutor personalizzato. Questa esperienza insegna come creare piani e programmi a lungo termine a partire da obiettivi concreti e misurabili, come tener traccia dei propri progressi; utilizzando vari strumenti organizzativi, i ragazzi imparano a sintetizzare informazioni complesse in prodotti ben progettati e a presentare in modo convincente e coinvolgente i loro risultati all’intera comunità. Le competenze e gli strumenti appresi attraverso questo programma sono facilmente trasferibili a tutti gli altri contesti educativi e lavorativi.

Nella scuola sono presenti degli spazi dedicati alle situazioni di crisi e una figura professionale di psicologo con il compito specifico di affiancare tutti gli studenti nel loro percorso, offrendo dei colloqui personalizzati a cadenze regolari o in caso di necessità.

Per quella che è la mia esperienza, le difficoltà nascevano soprattutto dal fatto che, come accennato, all’interno di uno stesso profilo la variabilità delle caratteristiche individuali è enorme. Così, nell’ambito di uno stesso gruppo-classe, mi è accaduto di lavorare con alunni dotati di una memoria eccezionale e di una logica rigorosissima, e con altri che avevano invece problemi a rintracciare semplici rapporti di causa-effetto all’interno di una storia; con alunni dall’autocontrollo comunque forte, e con altri capaci di andare in crisi per un banco spostato in una posizione leggermente diversa dal solito.  Il programma offerto dalla scuola però, non essendo – a differenza di quello italiano o di quello di altri sistemi in cui poi ho lavorato – basato su un piano personalizzato da innestare su un percorso standard, bensì sulle reali necessità neuro-psicologiche degli utenti, garantiva la necessaria flessibilità per poter gestire i contenuti finalizzandoli a un vero successo formativo. Per esempio, con lo studente A., che aveva gravi difficoltà a gestire l’ansia e momenti di “fobia scolastica” ma un interesse totalizzante per la zoologia, la scelta di presentare il programma di lingua latina con testi tratti dai bestiaria medievali si rivelò un toccasana, perché allentava la tensione attraverso lo stimolo della curiosità. In ogni caso, ho potuto verificare (confrontando i risultati di questa esperienza con altre successive nel sistema scolastico tedesco e francese) che la ragione per cui il liceo californiano rappresenta un vero esempio di best practice era il fatto che l’inclusione passa attraverso un effettivo focus sul recupero e potenziamento delle abilità necessarie per affrontare gli studi, piuttosto che su una “presa in carico” da parte del sistema scolastico standard. Una volta garantita agli studenti la possibilità di lavorare in un contesto interamente messo a punto per questi scopi, essi sono responsabilizzati e devono fornire un lavoro concreto e costante, sottoposto a verifica e valutazione calibrata sugli stessi standard delle altre scuole, sia per quanto riguarda i test individuali somministrati dagli insegnanti (se pure adeguati dal punto di vista grafico e strutturale), sia per quanto riguarda test centralizzati come il SAT (Scholastic Assessment Test), la cui importanza è cruciale perché necessari per accedere all’istruzione universitaria. Ancora di più che in un contesto tradizionale, quindi, la presa d’atto di una specifica situazione in fase diagnostica non è soltanto un punto di arrivo, ma rappresenta il punto di partenza per un impegno che dev’essere assunto in prima persona (anche dalle famiglie, che sono coinvolte attivamente nel programma della community) e che non comporta al di là degli adattamenti strutturali, semplificazioni di nessun tipo. Per questa ragione, gli studenti con cui ho avuto il piacere di lavorare si sentivano protagonisti del loro percorso e non esitavano a definire la loro esperienza come “salva-vita”.

L’AUTRICE: CHI SONO IO?
Antonella Ippolito; studi di Filologia classica (Palermo-Catania 2001) e di
Letterature romanze (Potsdam 2015); libera docente di Filologia Romanza
(2024), sono ricercatrice e insegno letteratura francese all’università di
Potsdam; in passato ho insegnato latino e greco nei licei italiani,
didattica delle lingue romanze a Potsdam e (fino a quest’anno) lingue e
culture dell’antichità al liceo francese di Berlino. Dal punto di vista
accademico, mi occupo di letteratura italiana e francese.

Un commento

  1. L’articolo non sviluppa esplicitamente tutte le interessanti osservazioni che semina, e che semina abbondantemente. Tuttavia mi prendo la briga di sottolineare almeno un paio di cose, tra le molte meritevoli: gli studenti di questo liceo californiano non frequentano quella scuola solamente per istruirsi o per ricavare un’educazione legata ad un certo impianto valoriale e culturale; essi vengono sostenuti fattivamente in un vero e proprio percorso di recupero di quelle abilità sociali, emotive, neuropsicologiche, comunicative ed affettive in cui trovano maggiori difficoltà.

    In questo senso – lo si ammetta – quel liceo non è altro che una scuola speciale; e in quanto tale si serve di spazi, strumenti, personale, attrezzature ed ausili che non sono MAI disponibili in una scuola ordinaria, senza contare le enormi ricadute sul piano dell’organizzazione del curricolo di studi, dell’orario settimanale e giornaliero, e delle cadenze di lavoro: tutto deve essere giustamente programmato e sviluppato a partire da bisogni particolari, che non sono bisogni universali se non per coloro che non vogliono ammettere che la diversità esprime spesso limiti e debolezze che non tutti hanno.

    Che cosa ne consegue? Quello che tutti in Italia dovremmo già sapere, ma si stenta anche solo a dire per non essere lapidati. La scuola ordinaria non può avere i mezzi per soddisfare i bisogni speciali ben descritti nell’articolo; quando li ha, essi sono raccogliticci, adattati, quasi sottratti alla materialità quotidiana dei nostri edifici e dell’organizzazione ordinaria: che pure può funzionare con gli studenti normodotati.

    Si tratterebbe di accettare che, per pura dignità, ed effettuati moltissimi distinguo in relazione alle diverse categorie in cui si dividono i bisogni speciali, si cessasse di chiedere alle scuole ordinarie di farsi scuole speciali (oltretutto inseguendo specialità varie e diversissime tra loro); e si tratterebbe di ammettere che i risultati di rilievo che molte famiglie pretenziose esigono dalla scuola ordinaria non posso coniugarsi con la normalità (spesso la povertà) dei mezzi che essa ha a disposizione.

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