Il ritardo della pedagogia e le sue illusioni

Leggere e interpretare la realtà è – deve essere – la base e la condizione per riformare in modo serio e utile una istituzione sociale, come per esempio la scuola. Che cosa succede invece se il processo è inverso, e una realtà fittizia viene artificiosamente disegnata per giustificarne l’ulteriore disgregazione?


Ciò che si deve addebitare alla cattiva pedagogia progressista di questi ultimi 25-30 anni (che non è affatto “la” pedagogia, ma una sua declinazione tipicamente postmoderna) è che, nonostante la sua penetrazione sempre più invasiva nella scuola italiana, non sembra per niente essere riuscita a catturare e tanto meno governare il cambiamento della popolazione scolastica. Lo dimostra la cruda realtà degli esiti cognitivi ed educativi che ormai sono sotto gli occhi di tutti.

Con l’aumento del benessere è andata cambiando anche la condizione giovanile, dal cui orizzonte il concetto di assunzione di responsabilità è stato progressivamente allontanato. Di questa tendenza – per la quale lo studente, viziato, ha tendenzialmente sempre ragione e deve sempre essere pregiudizialmente tutelato – la pedagogia ha in parte recepito e in parte prodotto gli attuali esiti assolutamente esagerati e fallimentari, rinunciando così anche a fare argine a un processo rivelatosi disastroso. In altri termini: spingendo parossisticamente sul “successo formativo” e sulla giustificazione dei comportamenti studentili, ha contribuito non poco a creare l’attuale problematica condizione educazionale, cognitiva ed esistenziale dei nostri giovani. Ha mostrando così, a dispetto della sua supponenza ideologica, scarsissime capacità di comprensione della realtà.

Non a caso i nostri pedagogisti “ministeriales” (così li definiva il prof. Sergio Moravia) configurano le loro asserzioni, spesso veramente sbalorditive per mancanza di realismo e razionalità, andando a contrapporsi ad aspetti che erano sì propri della nostra scuola (in parte, a dire il vero), ma almeno una cinquantina d’anni fa, non certamente oggi. In altri termini essi si pongono in una condizione di contrapposizione nei confronti dell’attività degli insegnanti e hanno continuamente bisogno di una scuola autoritaria e selettiva per accreditarsi come riformatori e progressisti; e siccome questa scuola non c’è più, se la rappresentano. Tutte le trasformazioni di cui è stata oggetto la didattica negli ultimi decenni, tutto il lavorìo di adattamento e innovazione prodotti (in condizioni sempre più difficili) dagli insegnanti, per i pedagogisti non esistono: non possono esistere.

Questa è, in parte, la ragione dell’ostilità degli insegnanti nei loro confronti: la continua svalutazione che i pedagogisti, senza essere in possesso di un’adeguata comprensione della realtà scolastica o falsificandola pro domo sua, devono operare del lavoro dei docenti. Incomprensione che non riguarda solo la concreta vita in classe: basti pensare alla geopolitica, disciplina strategica totalmente assente dal loro orizzonte, che è tutto volto a smontare spensieratamente quel che resta della scuola senza alcuna capacità di prevedere le presenti e future necessità del nostro Paese nel contesto internazionale.

Promettendo alla clientela scenari utopisticamente sempre più comodi e spontaneisti e  – se possibile – ancora più puerocentrici, essi hanno sinora conquistato abbastanza facilmente il favore acritico di tanti, troppi genitori, in un momento di conclamata crisi morale e del ruolo genitoriale. Soprattutto delle mamme, vista l’attuale eclissi della figura paterna.

Ma l’attuale emergenza economica, geopolitica, cognitiva, educazionale ed esistenziale, come pure l’avvento in campo formativo dell’intelligenza artificiale, richiedono di riportare alla luce e di rimettere al centro l’essenza della scuola, smettendo di pensarla come un di-vertente caleidoscopio improduttivo all’inseguimento delle mode, dei social e della dissipazione. Occorre tornare al linguaggio, al calcolo, al Logos, alla strutturazione cognitiva delle discipline, così che gli studenti imparino a leggere la realtà invece di venirne sopraffatti senza neppure accorgersene.

E soprattutto, se si vuole (ma lo si vuole veramente?) che lo studente apprenda in maniera autonoma, occorre distaccarsi da un puerocentrismo omologante che è invece pilotato dall’esterno e livella il senso critico sul piano della banalità più conformistica.

2 Commenti

  1. Quest’idea illuminante secondo cui i pedagogisti hanno costruito artatamente una immagine falsa e patologica della scuola per poterne attaccare di continuo quel che resta di buono, deve essere compresa ed asseverata da ciascun insegnante con una analisi spassionata del proprio quotidiano.
    Ogni aspirazione eversiva (come quella della pedagogia che oggi imperversa) deve imporsi attraverso due azioni:
    1) la distruzione dell’esistente;
    2) la sostituzione dell’esistente.
    Nel caso della pedagogia di oggi ogni mente priva di pregiudizio non può che attestare l’assoluta inadeguatezza dei modelli di scuola che vengono proposti (soprattutto per irrazionalità ed incoerenza interna) a sostituire il modello già lungamente rodato, imperfetto ma funzionante. La nuova scuola non riesce a sostenere il compito istituzionale che le spetta, semplicemente perché i modelli che prospetta non funzionano: le classi si disgregano, diventano ingestibili, e gli apprendimenti si miniaturizzano, si parcellizzano, cade l’orizzonte culturale che fa da base a tutto il resto…
    Che cosa resta da fare dunque? Resta la prima azione: distruggere quanto c’è. E quale miglior modo, per distruggere qualcosa, che demonizzarlo agli occhi della pubblica opinione?

  2. Ringrazio molto Sagredo per il suo gentile commento. Aggiungerei ancora qualcosa.
    È pure probabile che questa rappresentazione della Scuola (da parte della Pedagogia post-moderna) sia – in parte – anche una forma di *auto-inganno*. Dovuto all’essersi, tale Pedagogia, costituita e strutturata culturalmente in opposizione a un certo modello storico – o meglio all’idea che essa se ne era fatta- di Scuola. E all’incapacità, anche nostalgica, di distaccarsene. Questo però ne aumenta, se possibile, la pericolosità sociale. Come pure la fanatica presunzione di sviluppare “senso critico” e “consapevolezza di sé” incentivando oggettivamente un’attitudine assolutamente contraria, da ignoranti consumatori passivi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *