Il mantra della valutazione evolutiva
Sempre più spesso ci si accorge dell’insensatezza di idee che vengono vendute a noi insegnanti come rivoluzionarie.

Moltissimi nostri affezionati lettori, nonché colleghi appassionati ma stanchi dell’andazzo della scuola italiana, maturano opinioni e mettono a punto teorie sulla pedagogia, sulla didattica e sulle politiche scolastiche odierne. Tali idee sono sovente preferibili a quelle di coloro che mancano del tutto dell’esperienza concreta nelle classi, che invece sostiene ed anima gli scritti di molti docenti di ogni età. Ci sembra giusto e necessario valorizzare con la pubblicazione il loro sforzo analitico e teorico, spesso dimostrativo di come tra le loro file sia ancora presente quella vocazione intellettuale all’analisi della realtà che molti vogliono sopire o uccidere, nelle più varie maniere.
Leggiamo qui la sugosa riflessione di Francesco Scida sulla cosiddetta valutazione evolutiva.
Negli ultimi anni sta prendendo piede nelle scuole italiane il mantra della “valutazione evolutiva“, spinto soprattutto dai pedagoghi fuffa nei corsi di formazione e da insegnanti-influencer molto seguiti come Enrico Galiano. In sostanza, si sostiene che la media aritmetica dei voti non dica nulla del percorso effettivo dello studente e dei suoi miglioramenti nel corso dell’anno, testimoniati piuttosto dalle ultime valutazioni: il che significa, in soldoni, che se un alunno in una materia prende prima 3, poi 4, poi 5 e infine 7 il voto finale in pagella deve essere 7. Ora, atteso che per quanto mi riguarda i voti si potrebbero anche abolire tout court (ne ho parlato in un vecchio post), fintanto che si mantengono bisogna assegnarli adottando dei criteri sensati e ragionevoli. La “valutazione evolutiva” a mio avviso è una cialtronata bella e buona, è puro nonsense per almeno tre ragioni:
1) La serie delle valutazioni ottenute da uno studente raramente delinea una traiettoria lineare, sia essa progressiva o regressiva: molto più spesso si tratta di un percorso discontinuo, fatto di alti e bassi, di inciampi e risalite a fasi alterne come è logico che sia, per cui considerare l’ultimo voto come esito terminale e compimento di un cammino non ha alcun senso. L’unico numero che davvero rende ragione di questo cammino nel suo complesso è proprio la tanto vituperata media aritmetica, perché ne prende in considerazione tutti i momenti, sia quelli positivi che quelli negativi, restituendo un giudizio ampio ed equilibrato.
2) Anche qualora la serie dei voti disegni un percorso lineare, è ben possibile che tale percorso non sia progressivo ma regressivo: mettiamo che uno studente abbia preso un 8, un 7, un 6 e infine un 4, il voto finale dovrebbe dunque essere 4? Neanche per sogno! In tal caso sarebbero proprio i guru della “valutazione evolutiva” a puntare l’attenzione sulla media complessiva e a parlare di un singolo scivolone su cui chiudere un occhio, svelando così tutta la loro ipocrisia.
3) Infine, anche nel caso in cui le valutazioni seguano una traiettoria lineare in senso progressivo, considerare l’ultima di esse come punto d’arrivo da cui trarre il voto finale da inserire in pagella potrebbe aver senso solo nel caso in cui quella valutazione derivi da una verifica inerente il programma dell’intero anno, cosa che raramente accade: generalmente si fanno verifiche che vertono su singoli argomenti del programma, e uno studente che prende prima 3, poi 4, poi 5 e infine 6 ha raggiunto sì la sufficienza, ma solo su una piccola parte del programma disciplinare, mentre su tutto il resto si è dimostrato insufficiente o gravemente insufficiente.