Il terrore di bocciare: verso il tracollo della cultura occidentale.
La mancanza di selezione mina il valore del merito, svuota di significato i titoli di studio e alimenta una società più fragile, meno competente e meno equa, penalizzando soprattutto gli studenti privi di supporto familiare o culturale.

Un tempo il terrore abitava tra i banchi di scuola: era la paura, concreta e seria, che gli studenti provavano di fronte alla possibilità di essere bocciati. Oggi, invece, quel terrore ha cambiato sponda. A tremare non sono più gli alunni, ma gli insegnanti. Non per timore di fallire nella trasmissione del sapere, ma per paura di bocciare. Già, perché nell’attuale sistema scolastico, bocciare è diventato un gesto quasi sospetto, rischioso, inopportuno, sconveniente, spesso persino percepito come cattivo, sbagliato, impietoso. Ma che cosa è successo? Perché si è ribaltata la logica? Perché oggi la scuola sembra aver abbandonato la prassi, antica e consolidata, della bocciatura in favore di una promozione quasi automatica? Le cause sono molteplici, ma tre appaiono come i nodi centrali di questa trasformazione: l’auto-corruzione del corpo docente, l’irresponsabilità sistemica e la convenienza strategica della promozione.
Parlare di auto-corruzione può sembrare un’accusa forte, forse persino esagerata. Eppure, è un termine che descrive con precisione ciò che da anni si verifica in modo sempre più diffuso nelle scuole italiane. Molti insegnanti, infatti, rinunciano consapevolmente a fare ciò che sanno essere giusto: non bocciano nemmeno quando gli elementi oggettivi lo richiederebbero. D’altronde, bocciare oggi significa esporsi a un ventaglio crescente di conseguenze spiacevoli: pressioni insistenti dei genitori, conflitti nei consigli di classe, richiami da parte dei dirigenti scolastici, potenziali ricorsi al TAR, che pure vengono accolti in meno del 10% dei casi. Ma oggi bocciare ha assunto un significato che va ben oltre queste difficoltà contingenti. Nell’attuale cultura scolastica e pedagogica, bocciare viene percepito come un atto punitivo, vendicativo, perfino diseducativo. Così, molti docenti scelgono di piegarsi: pur consapevoli di non agire nel modo corretto, preferiscono adeguarsi alla corrente. Una corrente che disincentiva rigore, merito, selezione, serietà, giustizia, in nome di un’inclusione cieca, indiscriminata, spesso insensata. Una deriva pedagogica secondo cui tutti devono essere promossi, indipendentemente da ciò che hanno appreso e che, nel tentativo di includere i più fragili, esclude tutti, o quasi, dal diritto all’istruzione e al sapere.
Dal punto di vista psicologico, questa auto-corruzione è favorita da vari fattori: mancanza di coraggio, senso di colpa, conformismo irresponsabile, buonismo opportunista e una crescente diffidenza verso il sapere, diffidenza che coinvolge anche numerosi insegnanti. Sono queste le principali motivazioni che spiegano l’espansione, se non la dilagante diffusione, del fenomeno in questione.
Nel sistema scolastico attuale, però, si assiste anche al dilagare dell’irresponsabilità sistemica. In teoria la scuola dovrebbe essere una comunità educante in cui ogni attore, dallo studente al dirigente, si assume le proprie responsabilità. In pratica, invece, si è affermata una logica dello scarico di responsabilità che coinvolge docenti, dirigenti, studenti e famiglie. Alcuni insegnanti ammettono apertamente la propria rinuncia al dovere di valutare: “Bocciare? Meglio di no, è una responsabilità troppo grande…”. Altri si deresponsabilizzano dietro un comodo fatalismo: “Anche se lo promuoviamo, pensi davvero che ce la farà? Ci penserà la vita a selezionare…”. Altri ancora scaricano la colpa sui colleghi: “Avrebbero dovuto fermarlo nel biennio!” o “Non dovevano ammetterlo all’esame! Ma ormai che è passato, buttiamolo fuori con un calcio nel sedere!”. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: promozioni quasi automatiche, indipendentemente dal merito, dalla preparazione, dalla serietà del percorso. In un sistema responsabile e serio, al contrario, la bocciatura dovrebbe essere considerata un anno aggiuntivo di formazione, a carico dello Stato, per permettere a chi ne ha bisogno di colmare le proprie lacune.
Va ricordato inoltre che, più un docente è inadeguato, più teme di essere giudicato. In questi casi, la promozione diventa un modo per evitare critiche, problemi, oltre che per celare le proprie responsabilità. Così, tra studenti impreparati e insegnanti insicuri, il cerchio si chiude. La perversione della questione si spinge addirittura al punto che, anche quando i docenti sono preparati e seri, il fallimento di uno studente viene spesso attribuito a loro. Una narrazione dominante, supportata da teorie pedagogiche bizzarre, talvolta partorite da nemici dichiarati della cultura, preferisce incolpare la scuola. Studenti e genitori trovano comodo aderire a questa visione: se uno studente fallisce, la colpa è del docente. Di conseguenza, bocciare è diventato equivalente all’ammissione di un fallimento educativo di cui solo i docenti devono rispondere. Meglio non bocciare nessuno: così tutti salvano la faccia. In questo clima, la bocciatura diventa un tabù istituzionale da evitare ad ogni costo, anche a quello di mentire, falsificare e ignorare l’evidenza.
Ed ecco che interviene la convenienza. Non bocciare, infatti, conviene. Conviene a molti e in molti riguardi. Conviene:
- ai docenti, che evitano seccature burocratiche e conflitti;
- ai dirigenti, che mantengono alti gli “indici di successo formativo”;
- alle famiglie, che evitano l’imbarazzo sociale e l’onere pratico della ripetizione;
- allo Stato, che può vantare un calo della dispersione scolastica e, nel contempo, contenere i costi.
Peccato che questa convenienza sia illusoria e miope. Un sistema scolastico che promuove senza istruire, che ha smesso di selezionare, che si vergogna di valutare perché teme esso stesso di essere valutato, è infatti un sistema fallito. Un sistema fallito che produce falliti. Un sistema fallito che promuove falliti. Un sistema fallito che, non a caso, elimina persino la possibilità teorica del fallimento. Cos’è, del resto, il “successo formativo garantito” se non la teorizzazione della totale irresponsabilità e l’ammissione della più tragica impotenza da parte di una istituzione che non riesce più ad assolvere al proprio dovere?
La verità è che il fallimento è già tra noi. Il vero fallimento, infatti, non è la bocciatura, ma la promozione senza apprendimento. È la promozione dell’ignoranza. È il crollo della trasmissione del sapere. Insomma: una scuola che elimina il fallimento, fallisce. Uno studente che supera l’anno senza aver appreso è uno studente abbandonato, non salvato. Ecco perché i diplomi sono sempre più un inganno collettivo, simbolo di un sistema che si svuota di senso man mano che si deresponsabilizza.
La verità più amara è che oggi la scuola ha paura di essere se stessa. Ha paura di trasmettere conoscenze, di educare con rigore, di valutare con onestà, di correggere con responsabilità. Si è ritratta nel ruolo di struttura accogliente ma inefficace, desiderosa di piacere a tutti ma incapace di dire di no. È come se la scuola di oggi non volesse più formare, ma limitarsi a trattenere. Essa, infatti, trattiene giovani in un limbo privo di merito, in attesa che un illusorio futuro radioso bussi alla loro porta. In questo clima, bocciare diventa un atto quasi eroico, certamente solitario.
Chiariamolo: non si tratta di invocare il ritorno a una scuola punitiva o classista. Al contrario, si tratta di recuperare il senso autentico della scuola, istituzione oggi svilita: trasmettere conoscenze, metodi, idee. Invece, oggi, le scuole si sono ridotte a diplomifici, pubblici o privati, dove, attraverso un mastodontico lavoro burocratico, si certifica il nulla. Tanto lavoro per nulla. O forse, tanto lavoro per giustificare lo stipendio di figure professionali che hanno perso prestigio e senso, e che, sempre più spesso, hanno smesso di credere in ciò che fanno.
La gravità della situazione è evidente: promuovere sempre e comunque, infatti, non è solo un problema interno alla scuola, ma una questione civile, sociale e culturale. Una scuola che non valuta realmente e non seleziona in modo serio aumenta il numero dei diplomati, certo, ma diminuisce il valore reale dei titoli. Il risultato è una generazione che lascia le aule senza le competenze di base, persino in ambiti fondamentali come lingua italiana, matematica, logica e spirito critico. Le conseguenze sono tangibili: difficoltà di inserimento lavorativo, perdita di reali prospettive professionali, impoverimento del dibattito pubblico, calo del livello generale delle competenze.
D’altronde quando tutti vengono promossi è evidente che il merito perde inevitabilmente di significato. Chi studia e si impegna non è distinto da chi si trascina o da chi non fa nulla. Questo produce demotivazione tra i migliori, uniformità verso il basso, diffidenza verso ogni sistema meritocratico.
Una scuola che rinuncia a selezionare non produce solo studenti inadeguati: produce una società fragile, incompetente e iniqua. Una scuola che non seleziona, infatti, non è più equa, ma più ingiusta. Abbandona proprio chi non ha strumenti culturali o familiari per colmare da solo ciò che la scuola non insegna più. Insomma abbandona chi avrebbe più bisogno di essere sostenuto! Chi proviene da famiglie colte o agiate può supplire con lezioni private e aiuti. Gli altri si ritrovano con diplomi vuoti e prospettive illusorie. Parliamo di tantissimi studenti che vengono privati proprio della concreta possibilità di realizzazione di quel riscatto sociale che, paradossalmente, viene sacrificata nel nome di una inclusione che si illude di aiutare i meno abbienti con promozioni o valutazioni che, purtroppo, sempre più spesso non corrispondono ad un effettivo apprendimento. Insomma una scuola che promuove tutti per paura o convenienza finisce sia per tradire i più deboli e illudere i mediocri, sia per trascurare i migliori.
In generale l’assenza di una valutazione seria alimenta una cultura della deresponsabilizzazione: il fallimento non ha conseguenze, l’impegno è superfluo, l’autorità perde valore. Il risultato? Cittadini passivi, incapaci di autocritica, pronti a reclamare diritti ma riluttanti ad assumersi doveri. La selezione scolastica, quando è giusta, motivata e trasparente, non è esclusione: è cura dell’apprendimento, rispetto della realtà, formazione dell’individuo. Se la scuola continuerà a rinunciare a valutare con rigore, la società raccoglierà ogni giorno di più i frutti amari di questa resa educativa: impreparazione sempre più diffusa, ingiustizia camuffata da inclusione, crisi della fiducia nei saperi e incompetenza sistemica.
In sintesi l’attuale terrore di bocciare è il sintomo di una malattia irrazionalistica profonda, intrecciata ad un pericoloso ed ipocrita declino culturale. Se la scuola non saprà riappropriarsi della sua funzione formativa, se non saprà dire “no” quando è necessario, se non riuscirà ad assumersi il rischio di istruire davvero, allora continuerà a promuovere tutti… sì, ma verso il declino! Verso il tracollo. Verso lo sfacelo della cultura occidentale.
Sono, direi, dolorosamente, d’accordo su tutto. Un briciolo di speranza potrà esserci quando sempre più giovani si accorgeranno che questa pessima scuola sta lavorando contro di loro. Continuiamo a spiegare queste cose e speriamo che sempre più persone ne divengano consapevoli.
Analisi chiara e incisiva. Leggo: “molti docenti scelgono di piegarsi: pur consapevoli di non agire nel modo corretto” ed è qui, a mio avviso, il nocciolo del burn-out. Cioé la contraddizione interiore, morale, la quale non potendo risolversi in alcun modo e non potendo neanche scaricarsi in normale, civile e legittima aggressività verso chi se lo meriterebbe, ritorna indietro e danneggia la salute dell’insegnante. Non certo quella del DS, formato e incentivato a realizzare quanto più promozionismo possibile. Complimenti all’autore, c’è ben poco da aggiungere.