La scuola senza voti

La scuola senza voti nasce dal rifiuto pedagogico dell’alfabetizzazione e della conoscenza discorsiva come suoi scopi costitutivi.

Si è avviato nella scuola primaria ‘Lubich’ di Pesaro il progetto ‘Essenza scuola’ per sperimentare una didattica senza voti. Lo illustra, con qualche timida perplessità, un articolo su ‘Tecnica della scuola’, menzionando alcune dichiarazioni del maestro De Vivo e una entusiastica presentazione disponibile sul sito dell’istituto.

«La scuola – dichiara il maestro De Vivo – deve promuovere i talenti, non certo tarparne le ali… Nostro compito è promuovere la motivazione perché il bambino trovi le condizioni per dare il meglio di sé invece di inseguire il bel voto a tutti i costi». Vale a dire ogni bambino è un talento, ma la scuola gli tarpa le ali costringendolo a inseguire il bel voto. È evidente che il maestro segue il pregiudizio pedagogico per cui solo le motivazioni interne sarebbero in grado di promuovere l’apprendimento autentico, mentre il rinforzo esterno del voto consentirebbe solo una caduca infarinatura nozionistica. Una tesi tanto vecchia quanto assurda. Non esiste infatti nessuna motivazione interna verso abilità evidentemente artificiali come la lettura, la scrittura e il calcolo. La didattica che volesse attenersi alla sola motivazione interna sarebbe costretta al gesto sovversivo di escludere dalla scuola queste basi della conoscenza discorsiva, quindi ad abbandonare il bambino alla naturalità e a rinunciare al suo sviluppo cognitivo.

De Vivo non è lontano da questa sovversione. Si dichiara sicuro che il progetto «arriverà almeno agli stessi risultati cognitivi della scuola tradizionale, ma ‘in modo creativo’». Si tratta di un asserto temerario, che anzitutto ignora il significato di ‘creatività’. Questa non è solo talento naturale, ma ha altrettanto bisogno di diligenza, di riflessione, di laboriosità. Non giunge a risultati validi per magia, ma attraverso un lavoro estenuante su ogni parola, su ogni nota, su ogni millimetro di tela o di creta, e implica una critica continua e severa (qualcosa di simile ai brutti voti che ‘Essenza scuola’ aborrisce) del processo e del risultato. Che il labor limae sia estraneo alla creatività è un vuoto pregiudizio romantico che non promuove il talento, anzi lo paralizza nel dilettantismo. Il talento è un fatto naturale che la scuola non può dare; ma che essa rinunci ad abituare alla laboriosità e a dare gli strumenti logici che soli consentono al talento di realizzarsi come creatività, ebbene questo è un tradimento del suo senso più proprio. «Essenza scuola» nel voler dare quello che non ha, rinuncia a dare quello che deve dare.

Non solo mortifica la creatività come dilettantismo, «Essenza scuola» segue la pedagogia nel pregiudizio ancora più grave che «sfruttando il corpo nella sua interezza riusciamo a far lavorare anche la mente». Ignora così che solo la psiche degli animali è legata intimamente al corpo, che la mente dell’uomo non è un’elaborazione di istinti, ma una elaborazione di parole. Le abilità mentali non si sviluppano con l’educazione sensoriale né con la ginnastica: si sviluppano sulla base delle conoscenze e delle operazioni teoriche. Le conoscenze veramente umane, quelle scientifiche, non dipendono dall’immediatezza delle sensazioni, ma da altre conoscenze. Per questo la scienza è una tradizione e le è indispensabile la scrittura che conservandola la rende disponibile al futuro. Il maestro De Vivo disprezza invece la tradizione della conoscenza discorsiva e la scrittura: «La manipolazione dell’argilla e la creazione di figure sostituisce il metodo classico, quello che prima abbiamo definito addestramento con la penna». Ma così egli commette due errori. Gli sembra che la manipolazione della creta e la creazione di figure siano in contrasto con l’addestramento con la penna. Se però ha un valore scolastico, se serve cioè a raggiungere gli «stessi risultati cognitivi della scuola tradizionale», la manipolazione stessa è un addestramento; viceversa, è assurdo sostenere che l’addestramento con la penna escluda «la creazione di figure»: tutta la letteratura mondiale consiste proprio in questo. Il primo errore è dunque che non c’è nessuna incompatibilità tra manipolazione e addestramento né tra penna e creatività. La loro presunta antitesi è un frutto velenoso delle nozioni fuorviate di creatività e di mente alla base del progetto.

La falsa antitesi tra creatività e addestramento contiene un altro errore dalle conseguenze ancora più gravi. Secondo il maestro De Vivo la manipolazione dell’argilla sostituisce l’addestramento con la penna. In altre parole, «Essenza scuola» rinuncia all’alfabetizzazione. L’autore dell’articolo da cui traiamo queste notizie, Alvaro Berardinelli, che pure ha udito e trascritto la rinuncia, non l’ha compresa. Se l’avesse compresa, certamente avrebbe interrogato il maestro su questo punto, per chiarire se la «scuola senza la scuola» consista nel negare il diritto dei bambini all’alfabetizzazione.

È noto che la pedagogia moderna aggredisce da secoli la didattica per emarginare dalla scuola il linguaggio e la scrittura – Rousseau, il suo patriarca, odiava i libri. È verosimile che la scuola primaria sia sempre meno in grado di resistere all’aggressione, dal momento che una larghissima maggioranza di alunni delle scuole medie e superiori non solo possiede un lessico poverissimo, non solo ignora la grammatica, ma non sa tenere la penna in mano e non sa scrivere in corsivo. La bramosia di trascinarsi dietro la scia della pedagogia ortodossa non esime affatto «Essenza scuola» dal dovere di informare le 41 famiglie, che hanno ingenuamente aderito al progetto, di aver avviato i loro figli al primitivismo, cioè a restare marginalizzati in una società in cui leggere e scrivere, nonché la competizione e la valutazione, sono condizioni generali di vita. Per tutti loro c’è solo da augurarsi che l’incoerenza di conservare la valutazione di fine anno possa almeno in parte arginare l’irresponsabilità che anima il progetto.

Un progetto che ha il suo unico punto di razionalità in una incoerenza non può che avere conseguenze disastrose: «Essenza scuola» nega ai bambini il diritto di diventare adulti. È facile rendersene conto. Il gioco è dei bambini e dei cuccioli in generale; il lavoro è degli adulti; diventare adulti significa dunque superare il facile piacere del gioco e avviarsi al piacere severo del lavoro. Poiché è un gioco, la manipolazione della creta per creare figure non può assumere una posizione centrale nelle attività scolastiche e marginalizzare la scrittura, come si prefigge «Essenza scuola». Maneggiare la penna per scrivere è artificiale, faticoso: è un lavoro, e proprio per questo deve avere centralità in una scuola che non tradisca l’obiettivo di far diventare adulti i suoi alunni.

La marginalizzazione irresponsabile del lavoro scolastico è la ragione del rifiuto altrettanto irresponsabile della valutazione. Mentre il gioco è valutato semplicemente dalla sua continuazione o dal suo abbandono, nel lavoro la valutazione svolge un ruolo del tutto diverso. Il lavoro inizia dalla necessità di realizzare un fine, passa al reperimento dei materiali e dei mezzi con cui trasformarli; raggiunge risultati intermedi e finali che occorre valutare e correggere continuamente, per garantirsi il raggiungimento del fine prefisso. La valutazione e la correzione, e il voto è una delle loro forme, sono momenti indispensabili di ogni lavoro e della vita adulta. Esse sono dunque momenti qualificanti del pensiero critico, di cui, a parole, nessuno vorrebbe privare la scuola. Se si vuole che i bambini non regrediscano nella loro istintività, ma imparando a leggere e a scrivere si inseriscano nel lavoro del pensiero critico, poiché leggere e scrivere non sono abilità spontanee, ma lavori, occorre correggerli e valutarli. De Vivo stesso lo riconosce: «Il voto è uno strumento non un obiettivo. Un mezzo non un fine»; ma non si rende conto di avere già riconosciuto che il voto è utile, e così si perde in una tempesta di immagini sconsiderate: «Giudica la persona e non la prestazione. È sommario e quindi superficiale. Penalizza i più deboli. Induce insana competizione. È anaffettivo. Disorienta il genitore. È una stima che inibisce l’autostima. Non motiva». Certo, un uso improprio del voto può anche avere queste conseguenze, ma se volessimo rinunciare ai mezzi di cui è possibile un uso improprio dovremmo privarci di ogni mezzo. Che alla possibilità di errore si risponda con una regressione alle forme naturali più primitive non è saggezza né un’opzione ammissibile in una scuola pubblica. Sarebbe vivamente auspicabile che «Essenza scuola» sia archiviata prima del suo avvio.

Un commento

  1. Il mio apprezzamento per questa analisi franca è forse banale, è forse ovvio, per quanto poco rappresentativo del sentire diffuso. Ebbene è proprio il sentire diffuso, via via più ostile alle analisi di questo tipo, oltre che dimentico dell’idea di una scuola che faccia davvero la differenza nella vita delle persone, che deve unirci, farci solidali e prodighi di reciproci consigli.

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