L’inferno degli insegnanti
Come sarà l’al di là degli insegnanti? Quali docenti finiranno all’inferno? E quali in paradiso?

Quando riaprì gli occhi, il professor Ricci si ritrovò seduto su una sedia scomoda, davanti a un computer che sembrava uscito direttamente dagli anni ‘90. Sullo schermo lampeggiava una scritta minacciosa: “Caricamento in corso… 5%”. Il tempo passava, il caricamento no. Si guardò intorno: un’immensa sala d’attesa, gremita di volti noti. C’era la professoressa Bianchi, il professor Monti, la severissima preside De Angelis. Alcuni si disperavano davanti ai monitor, altri tentavano disperatamente di far funzionare una connessione internet che sembrava concepita per spezzare la volontà umana.
«Dove siamo?» chiese Ricci a un collega accanto a lui.
«Dicono che sia l’Inferno.»
«L’Inferno?» Ricci si guardò attorno. «Ma… siamo sicuri? A me sembra il portale del Ministero.»
L’altro insegnante sospirò. «Evidentemente non c’è molta differenza.»
Una voce alle loro spalle intervenne. Era il professor Conti, un uomo dall’aria logorata da anni di correzioni di compiti e consigli di classe inutili. «Magari non siamo morti. Magari siamo ancora vivi.»
«Peggio.» sospirò la professoressa Bianchi. «Magari siamo morti davvero, ma siamo solo passati da un Inferno all’altro. Francamente, la vita da insegnanti era già sufficiente. Questo, al massimo, è una versione meno burocraticamente complicata.»
E così passarono decenni, tentando di completare la ricostruzione di carriera, inserendo crediti formativi con portali che si bloccavano all’ultimo click, combattendo con sigle incomprensibili e tentativi disperati di non perdere tutti i dati per un errore del sistema.
Quando finalmente il tormento finì, vennero condotti in un’enorme sala in fondo alla quale si trovava una fila. Al termine della fila, un confessionale. Uno dopo l’altro, gli insegnanti si inginocchiavano davanti a un demone con occhiali tondi e un’aria vagamente ministeriale. Aveva il potere di ridurre la pena infernale a chi avesse confessato i propri peccati di insegnante. Il primo si fece avanti: «Ho fatto fare i lavori di gruppo solo perché non avevo voglia di preparare le lezioni.» Il demone annuì e grugnì: «Sconto di pena accordato: 5 anni in meno di formazione inclusiva.»
Un altro si fece avanti: «Ho smesso di dare insufficienze per non avere problemi.»
«Sconto di pena accordato: 5 anni di pedagogia in meno.»
Un altro ancora: «Non mi è mai importato nulla dell’insegnamento, l’ho fatto solo perché era un ripiego.»
«5 anni di didattiche innovative in meno.»
E via così: chi aveva comprato certificati per aumentare i punti in graduatoria, chi aveva evitato di assegnare i temi ai propri studenti per non correggerli, chi si era nascosto dietro un buonismo di facciata per paura dei ricorsi. Quando fu il turno di Ricci, questi si avvicinò e disse: «Ho denunciato un dirigente scolastico per mobbing.».
Il demone si bloccò. «Mi scusi, non ho capito bene… potrebbe ripetere?»
«Ho denunciato un dirigente scolastico per mobbing.»
Il demone rimase in silenzio, poi si grattò il mento pensieroso. «Attenda un attimo.»
Sparì dietro il confessionale. Passarono cinque minuti, dieci. Alla fine riemerse con un’espressione perplessa. «Abbiamo fatto un errore. Lei non doveva essere qui.»
Ricci sgranò gli occhi. «Cosa?»
Il demone annuì. «Abbiamo verificato con l’Alto Ufficio della Giustizia Celeste. Lei deve andare in Paradiso.»
«In Paradiso? Ma… io pensavo che fosse un peccato.»
Il demone rise. «Oh, non lo sa? Denunciare un dirigente scolastico per mobbing è uno dei pochi meriti universali riconosciuti da tutti, angeli e demoni, Dio e il Diavolo.»
Un varco luminoso si aprì davanti a lui. Per la prima volta da quando aveva messo piede in quell’assurda sala d’attesa infernale, Ricci si sentì libero.
Mentre varcava la soglia verso il Paradiso, si voltò indietro un’ultima volta. I suoi colleghi erano ancora lì, in fila davanti al confessionale, pronti a confessare colpe che, tutto sommato, erano state il solo modo per sopravvivere alla professione più infernale del mondo.