Sui progetti e altre amenità: torniamo all’antico e sarà un progresso.
Progetti, progetti e ancora progetti. Insegnare a leggere e a scrivere non è più così importante. Fare lezione è ormai diventato un optional. Largo agli esperti che utilizzano un lessico incomprensibile. Gli insegnanti che non insegnano sono considerati i migliori mentre gli studenti sono sempre più ignoranti.

“Quella è una classe pesante, non la posso prendere, io devo fare i progetti.” Dichiarazione autentica di una docente.
Nell’ultimo Collegio la coordinatrice ASL (al tempo si chiamava Alternanza Scuola Lavoro, non si diceva ancora PCTO) ci ha comunicato che al termine del percorso ASL i ragazzi non sanno fare il report, e non sanno fare nemmeno un semplice diario di lavoro. Come risolvere questo grave problema? Niente panico, facciamo un bel progetto ad hoc. A quel punto la mia attenzione, alla parola progetto, si è istantaneamente azzerata per cui non ricordo bene ma mi pare si sia optato per l’intervento di un esperto esterno. Magnifico esempio di cura omeopatica.
Ora, a parte il non trascurabile particolare dell’uso pervicace e insistito dell’inglese anche quando esistono eccellenti termini italiani equivalenti (relazione, rapporto, non vanno bene?), possibile che a nessuno venga in mente che se gli studenti conoscessero in modo adeguato la lingua italiana il problema di come redigere una relazione o un qualsiasi altro tipo di testo si ridurrebbe a ben poca cosa? Possibile che nessuno veda che il re è nudo? Possibile che nessuno dica a voce alta che abbiamo in aula sempre più ragazzi semianalfabeti, e che anche quelli che non lo sono hanno comunque una padronanza della lingua italiana decisamente precaria e insoddisfacente.
Certo, capire il perché siamo arrivati a questo non è facile; credo che le ragioni siano intricate e complesse, ma il primo passo è perlomeno rendersi conto che il problema esiste e che è grande come un elefante.
Perché una cura omeopatica? Ho detto sopra che le ragioni ritengo siano molte, ma sicuramente una è l’impostazione attuale della scuola superiore. Mi riferisco a quella nefasta cosa che è la “scuola azienda”, la “scuola dei progetti”, la “scuola dell’Alternanza Scuola Lavoro”. Se noi togliamo ore ed ore curricolari, impegniamo i ragazzi al pomeriggio in un tourbillon di attività varie sottraendo tempo ed energie allo studio “tradizionale”, poi non è difficile capire come gli studenti siano sempre più deboli in quasi tutte le discipline. La Scuola dei progetti è ormai un luogo eterogeneo di attività varie, e non di rado pittoresche, delle quali la meno importante è diventata ormai quella vecchia, antiquata e superata cosa che è “fare lezione”.
Inoltre anche quando ci si muove sul terreno delle discipline “tradizionali” l’ottica è quella dell’addestramento; le ricette, l’allenamento ai test, la convinzione che esistano sempre degli algoritmi, delle sequenze di istruzioni che permettano di trarsi d’impaccio a fronte di un risultato da ottenere a tutti i costi. L’idea che la scuola non sia solo addestramento ma istruzione e soprattutto formazione sembra scomparsa. Concetti come: autonomia di giudizio, spirito critico, creatività, consapevolezza che è giusto e bello imparare anche cose che non hanno nessunissima utilità pratica e con le quali non si mangia, sono espulsi dall’orizzonte dei nostri ragazzi, e sono cose che solo la scuola può e sa dare, non certo quegli squallidi personaggi che si aggirano per le aule promuovendo qualche “verbo” aziendalistico nelle ore di ASL.
Ma al dunque cosa sono questi “progetti” e perché si fanno?
Una ventina di anni fa qualcuno che al Ministero della pubblica istruzione (allora c’era la parola pubblica) si annoiava fece questa bella e originalissima pensata: ohibò la scuola non si fa solo in aula, bisogna fare altro, bisogna aprirsi al territorio.
In pratica funziona così, un docente cui viene voglia di fare una cosa qualsiasi: torneo di scacchi, conferenza sullo sbarco degli alieni, ultime novità sullo Yeti, stage di cucina sarda, entomologia pratica, egittologia di base, medicina ayurvedica, e via delirando…, presenta al Collegio docenti, per farselo approvare, un bel progetto argomentando che l’attività proposta è congruente con le finalità della scuola e con la sua didattica. Può sembrare difficile spiegare che uno stage di cucina sarda in un liceo classico sia utile o addirittura necessario ai ragazzi, ma non lo è perché nella scuola italiana ci sono i migliori specialisti a livello mondiale nel settore dell’aria fritta. E in ogni caso quando il progetto viene presentato al Collegio docenti chi ascolta? E comunque chi vota contro un’iniziativa di un collega? Come si dice a Napoli pare brutto! I docenti che fanno i progetti, inoltre, si beccano qualche liretta in più.
Ora, non penso certo che queste iniziative siano proprio TUTTE sbagliate o inutili (molte sì), non penso che i colleghi siano in malafede (alcuni sì), penso, però, che sia una questione di priorità. A fronte di ragazzi che in storia si esprimono a livello penoso, che faticano molto a capire concetti anche abbastanza elementari, è utile occupare una o più mattine per portarli all’archivio di stato a farsi una bella ricerchina su documenti originali? Piacerebbe a me, senza dubbio, ma serve ai miei ragazzi? Forse a uno o due, e agli altri? Ha senso prendere in una mattina di maggio una quinta liceo che si sta preparando all’esame per portarla al torneo di bowling? Se proprio si vuole non lo si può fare al pomeriggio?
Al dunque alla conferenza sui diritti umani o sulla democrazia, magari per il docente interessantissima, tenuta in non pochi casi da relatori che non hanno la ben che minima idea di come si parli a ragazzi di 16-18 anni e che quindi utilizzano un linguaggio e un lessico a loro pressoché incomprensibile, i ragazzi compulsano il cellulare, chiacchierano, tentano di scappare. Che effetti produce in loro l’importantissima attività? Che ricadute ha sulla loro formazione? Inoltre di diritti umani o di democrazia può parlare benissimo il docente in aula a ragazzi che conosce e con i quali è in atto una relazione educativa, abbiamo proprio bisogno di un cattedratico esterno? Le cose che si insegnano a scuola, superiori comprese, sono le conoscenze di base, le cose acquisite, non le ultime novità scientifiche o accademiche (quelle lasciamole alle università e ai dottorati) e noi insegnanti siamo laureati, abilitati, perfettamente in grado di insegnare quello che dobbiamo insegnare.
Anche quando andavo a scuola io, qualche rara attività extracurricolare (fuori dall’aula), si faceva, e ricordo bene la gioia nell’uscire dalle quattro mura dell’edificio scolastico, il sollievo per le noiosissime lezioni di matematica, filosofia, o altro, scampate. Da questo punto di vista non è cambiato proprio nulla. I ragazzi a priori sono contentissimi di partecipare a qualsiasi progetto: si esce dalla gabbia, verifiche non ce ne sono, non si fa lezione e todos caballeros.
Gli studenti fanno il loro mestiere ma noi facciamo il nostro? Diamo ai ragazzi ciò di cui hanno più bisogno?
Considerazioni del tutto analoghe valgono per le visite guidate e i famigerati viaggi distruzione (senza apostrofo). Chi può pensare che non siano esperienze bellissime? Certo, spesso lo sono, ma ancora una volta quali sono le nostre priorità? Far contenti i ragazzi, socializzare piacevolmente, o tentare di risollevarli da un’ignoranza e un’insipienza paurosa? Un viaggio d’istruzione comporta in media una perdita secca di una settimana di lezioni, a volte anche di più, aggiungiamoci progetti, visite guidate, ASL, assemblee di Istituto, assemblee di classe, elezioni, etc., quando si fa scuola? Quando, e se, resta tempo.
Perché i colleghi fanno i progetti? Sono cattivo lo so: si becca qualche soldo, si esce dalla scuola e si fa qualcosa di più piacevole e meno faticoso che tenere a bada un gruppo di riottosi adolescenti, si acquisisce un’aura di docente bravo e impegnato.
Queste temo siano le motivazioni e riguardo all’ultima sopraddetta registro un curioso paradosso, spesso (non sempre) i colleghi che fanno molti progetti, essendo appunto molto impegnati in quello, trascurano il banale e trito lavoro quotidiano in aula, cionondimeno, per motivi che hanno a che fare con il marketing scolastico passano per essere i docenti migliori, quelli che danno più lustro alla scuola ottenendo addirittura molto spesso il Bonus miglior docente, e così il cerchio si chiude.
E intanto i nostri ragazzi stanno diventando sempre più ignoranti e semianalfabeti.
Peppino Verdi diceva: torniamo all’antico e sarà un progresso.