Il dogma della continuità didattica
La continuità didattica ha davvero un valore assoluto? Non ci sono casi in cui sia meglio non vincolare un insegnante alla stessa classe per anni?

La continuità didattica è un dogma che nessuno sembra voler mettere in discussione. Un qualcosa in cui bisogna credere ciecamente senza porsi domande. Guai a mettere in dubbio la sua dogmatica utilità in tutte le situazioni, altrimenti gli integralisti dell’inclusione a tutti i costi diventano intolleranti! La continuità didattica è un totem con il quale prendere decisioni fondamentali per la crescita culturale degli studenti. Infatti, nelle decisioni scolastiche gli altri fattori vengono generalmente messi in secondo piano. Questo spesso non va bene per i motivi qui descritti.
Innanzitutto, va detto che viene data così tanta importanza alla continuità didattica, che il legislatore ha voluto riconoscere questo principio con una serie di leggi-capestro che vincolano i docenti a insegnare con le stesse classi e con gli stessi studenti per lunghi anni. Anche quando vorrebbero trasferirsi per vari motivi. Cito, ad esempio, il combinato disposto dell’articolo 399, comma 3, del DL 297/94 e l’articolo 13, comma 5, del DL 59/2017 che obbligano il docente immesso in ruolo a rimanere per almeno tre anni nella stessa scuola. Un tempo che in certi casi può diventare interminabile, anche se è fortunatamente possibile chiedere l’assegnazione provvisoria sebbene questo tipo di richiesta spesso non venga accolta. Ovviamente, chi ne possiede i requisiti, può anche chiedere un trasferimento sulla base della legge 104/92.
Ad ogni modo, i dirigenti scolastici tendono ad assegnare le cattedre ai docenti che hanno seguito gli studenti negli anni precedenti. Capita spesso che gli studenti rimangano con gli stessi insegnanti per tutta la durata del ciclo di studi, anche per cinque anni. Questo viene visto da molti come un successo che permette di ridurre lo stress da adattamento a un nuovo docente. Questo è anche in linea con i principi malsani della pedagogia moderna che detesta qualsiasi tipo di sfida, approfondimento, adattamento e fatica. Siamo però sicuri che sia giusto che la continuità didattica sia il criterio prevalente con cui prendere decisioni così importanti? Andiamo con ordine.
Questo principio si basa sul fatto che adattarsi al modo di insegnare di un singolo docente sia generalmente più facile che adattarsi a più professori. Questo è valido soprattutto negli studenti che hanno disabilità e che comprensibilmente preferiscono un docente che conoscono già, ma non nella stragrande maggioranza dei discenti che generalmente non ha problemi a cambiare insegnanti. Ad ogni modo, in una mera ottica di risparmio di energie, questo ragionamento può avere la sua validità, perlomeno nei casi in cui il rapporto docente-discente sia positivo e proficuo. Esistono docenti che vogliono insegnare nelle stesse classi per tutto il ciclo di studi, e ci sono studenti che nel corso degli anni sono contenti di rimanere con gli stessi insegnanti. Il loro parere va considerato e rispettato.
Va anche considerato che la continuità didattica ha però una serie di conseguenze importanti. Innanzitutto, bisogna prendere in considerazione la tendenza all’impersonificazione di una materia con un singolo insegnante. Chiunque studia una materia con un unico professore, consciamente o inconsciamente, tende ad associare quella disciplina con un solo docente. Questa tendenza in certi casi può creare danni notevoli. Quante volte uno studente non studia una materia perché non apprezza il modo di insegnare del suo docente? Quante volte abbiamo sentito dire <<Non studiavo quella materia perché non mi piaceva il modo di insegnare del prof>>?? Succede spesso e lo sappiamo tutti. È sbagliato, ma il cervello umano funziona anche così. Collegare psicologicamente una materia a un singolo professore è uno sbaglio enorme, può compromettere il rapporto con la materia per ragioni che, a ben vedere, non hanno nulla a che fare con gli argomenti trattati. Questa compromissione può diventare irreversibile, soprattutto nei casi in cui l’insegnamento di una materia viene affidato a un solo insegnante per tutta la durata del ciclo di studi.
E anche quando il rapporto didattico tra docenti e discenti è positivo, le cose potrebbero comunque andare meglio. Ogni docente ha il suo modo di insegnare, un suo modo di vedere la materia con i suoi pregi, i suoi difetti, le sue fissazioni. Per quanto ogni docente si sforzi di essere completo, tende comunque a dare maggior rilievo ad alcuni argomenti e a sminuirne altri. Ogni insegnante offre inevitabilmente la propria prospettiva agli studenti, i quali tendono a adattarsi al suo modo di vedere la materia con i suoi pregi e i suoi difetti. Nel bene e nel male. Anche i professori sono persone. Il modo con cui gli studenti studiano una materia risente quindi, nel bene e nel male, del modo di insegnare del docente.
In questo sono stato fortunato. Ho avuto la fortuna di studiare sia alle superiori che all’università, le stesse materie con diversi docenti. Ho avuto il piacere di studiare certe materie apprezzandole da diversi punti di vista. Ho avuto modo di apprezzare i pregi e i difetti del modo di insegnare di ogni singolo docente, ho cercato di studiare le materie prendendo il meglio da ogni professore. Credo che l’insegnamento di una materia con più docenti sia generalmente migliore che quello con un singolo docente.
Va inoltre considerato il caso, a dire il vero piuttosto comune, in cui il rapporto umano e didattico docenti-discenti (o docenti-docenti, o docenti-dirigente) sia compromesso. O che addirittura ci siano situazioni tossiche. Può capitare per diversi motivi. In questi casi la continuità didattica può diventare una dannazione per tutti. Una tortura che non porta a nulla di buono e che può essere fonte di grave stress psico-fisico per tutti. Può capitare che un docente insegni in un luogo lontano dalla terra natia. È comune, ad esempio, il caso dei professori meridionali in Italia Settentrionale che soventemente vedano annullate le richieste di trasferimento. Persino le richieste di trasferimento per gravi incompatibilità caratteriali e ambientali vengono spesso negate con motivazione vaghe e inconsistenti. Questi dinieghi vengono fatti in nome di una continuità didattica che di fatto causa disaffezione, frustrazione e insofferenza verso il lavoro.
Questi problemi capitano anche agli studenti. Anche con loro applicare acriticamente la dottrina della continuità didattica può avere effetti particolarmente nocivi. Mi ricordo uno studente di primo superiore che dopo pochi mesi si accorse di aver sbagliato scuola. Situazione molto comune soprattutto negli adolescenti. Il trasferimento sarebbe stato facile, non avrebbe neppure implicato esami di ammissione. Purtroppo, la sua richiesta venne negata a causa di asserite esigenze di continuità didattica. Questo diniego danneggiò molto il ragazzo. Ben presto, infatti, si verificarono situazioni tossiche. Quello studente venne bocciato anche a causa di un diniego ingiusto. Se non fosse stata utilizzato questo approccio le cose avrebbero potuto andare diversamente.
A mio avviso, la scuola dovrebbe dare la priorità al benessere psicofisico dei docenti e dei discenti, invece di fossilizzarsi su dogmi di dubbia utilità che in troppi casi si rivelano fallaci. Benessere che troppo spesso è insidiato dalla continuità didattica. Benessere da utilizzare per migliorare le proprie performance e non per chiedere dispensazioni e compensazioni. Un professore felice è un professore che lavora al meglio. Un alunno che studia nella scuola in cui vorrebbe studiare e di cui ha legittimamente diritto, è uno studente che studierà meglio e otterrà risultati migliori. Un docente a cui viene negato il diritto al trasferimento è un insegnante che ha subito un torto che, a sua volta, potrebbe avere ripercussioni negative sul suo lavoro.
Per questi motivi, non credo nella continuità didattica!! Perlomeno, non nei termini indicati dai soloni della pedagogia moderna. Il che significa che dovrebbero essere abrogati tutti i vincoli legislativi che bloccano la mobilità dei docenti. Anzi, ci dovrebbe essere una legge che sancisca il diritto al trasferimento del posto di lavoro. Si dovrebbe fare di tutto per soddisfare le richieste di trasferimento dei docenti e dei discenti. Nei limiti della fattibilità tecnico-legale, le richieste di trasferimento degli studenti e dei professori devono essere accolte in tempi celeri. Senza scuse pretestuose, senza dogmi. Non dovrebbe succedere, come spesso accade, che un insegnante si veda negare la richiesta di tornare a casa, o di allontanarsi da un ambiente lavorativo ostile, a causa di leggi basate su dottrine fallaci come quella della continuità didattica. Anche il diritto degli allievi di trasferirsi in un’altra scuola di pari grado e tipologia deve essere garantito, anche durante l’anno scolastico. La salute psicofisica e il diritto di autorealizzarsi devono venire prima di tutto, anche della continuità didattica!
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