La scuola di classe

Dire che la scuola degli ultimi 25 anni è diventata una scuola di classe parrebbe uno sproposito. Vediamo come e perchè.


La scuola di classe.

Tra le varie accuse che vengono rivolte a chi, come gli aderenti o simpatizzanti del Gessetto, ritiene profondamente sbagliato l’orientamento psicopedagogico e didattico della scuola di questi ultimi 25 anni, vi è quella di volere restaurare la scuola dei tempi oscuri, una scuola classista che favoriva chi proveniva da un contesto economico e socioculturale elevato o almeno medio e discriminava chi invece proveniva da un ambiente per vari motivi e in vari sensi carente e fragile, più rozzamente ricchi Vs poveri.

La mia convinzione, che cercherò di argomentare, è invece esattamente opposta, al di là delle buone intenzioni è proprio questo tipo di scuola che diviene inevitabilmente classista è va a minare largamente le possibilità di promozione sociale, economica e culturale delle classi cosiddette inferiori.

1. La scuola e gli insegnanti non sono onnipotenti.

Tutti sappiamo che anche in un paese relativamente ricco e progredito come il nostro, vi sono una grande quantità di ingiustizie, ma la pretesa di sanarle con un tratto di penna, o più appropriatamente con un clic del mouse sul registro elettronico è deleteria. E’ assolutamente vero: ci sono gli studenti che in casa sentono parlare un italiano povero e scorretto o addirittura un’altra lingua, ci sono quelli che non hanno in casa libri se non di scuola (una volta c’erano gli elenchi telefonici), ci sono quelli che vengono da famiglie disastrate e/o disfunzionali, ci sono famiglie che demotivano i ragazzi convincendoli che la scuola è solo un fastidioso e stupido dovere, ci sono studenti emotivi, sensibili, fragili. Tutto questo esiste, e la mia opinione è che non ci possiamo fare proprio niente. Con ciò non intendo certo dire che nel momento in cui veniamo a conoscenza di queste cose ce ne stropicciamo, tutt’altro, ma, fatti i doverosi passi, col DS, con le famiglie, con i colleghi, con i vari referenti, etc., sia che l’alunno venga considerato con DSA o in condizione di BES, o nessuna delle due cose, sulle cause profonde di questi disagi non abbiamo nessun superpotere. Cosa possiamo, e dobbiamo fare, quindi?

Fare bene scuola è la cosa migliore che è alla nostra portata e che possiamo fare. Con empatia certo, con “amore platonico” verso i discenti, con attenzione e certo anche un occhio di riguardo, ma fare scuola; e osservo che l’attenzione, l’empatia, possono agire nel momento in cui possiamo “vedere” i nostri studenti e cioè averli in classe; se sono dispersi nelle mille, e a mio modo di vedere molto discutibili, attività varie ed eventuali (PCTO, progetti, giornate di questo e di quello, etc.), viene a mancare un fattore essenziale per qualsiasi significativa relazione umana, il tempo.

2. Non si possono eliminare fatica, impegno, frustrazioni.

Se un bambino che a cinque o sei anni, certo non per sua colpa, parla un italiano scorretto e povero o addirittura nullo, quando deve imparare a leggere e a scrivere si troverà in difficoltà e questo è ingiusto! Certo, ma non solo, dovrà faticare di più degli altri! Ancora una volta, possiamo sanare questa ingiustizia? Non credo, possiamo invece accompagnare e sostenere il bambino nel suo lavoro, fargli capire che esistono le differenze tra le persone, che le difficoltà si possono superare con il lavoro e l’impegno, che gli eventuali insuccessi non devono essere intesi e vissuti come fallimenti o addirittura tragedie.

Non è di sicuro facile, e chi ha mai detto che è facile. Ma è la strada per fare crescere, sia da un punto di vista cognitivo e culturale che da quello psicologico e personale i nostri bambini. A partire dalla sacra triade: leggere, scrivere, far di conto, (alla base di tutto quello che verrà dopo), lo studente avanzerà nei successivi gradi dell’istruzione e alle superiori potrà anche scegliere, almeno in parte, ciò che studierà.

La scuola non è la vita, ma è una palestra di vita, sotto l’asse di equilibrio ci sono i materassi e ci mancherebbe altro, l’esercizio si potrà ripetere più e più volte, ma l’esercizio va fatto.

La scuola è praticamente l’unica occasione per chi proviene da classi non privilegiate per acquisire una formazione culturale e personale altrimenti molto difficilmente raggiungibile, chi ha le spalle coperte l’inglese lo imparerà in Inghilterra o in America, la geografia viaggiando, altre cose le respirerà in famiglia e in ultima analisi chi è ricco di famiglia può anche permettersi di essere ignorante, un povero no.

3. Promozioni facili. Titoli di studio sempre più svalutati.

Molti anni fa, ma non dico quanti, alla Maturità Scientifica presi 40/sessantesimi, corrispondenti a 66,6 periodico/centesimi, un voto attualmente considerato basso fin quasi all’umiliazione. Lo considerai assolutamente giusto e adeguato al livello del mio impegno e dei miei risultati che nel triennio erano stati modesti. Vedo ragazzi e famiglie che si aspettano e addirittura pretendono voti altissimi e sono drammi se i voti sono inferiori alle aspettative. Lo so che è il solito rimpianto dei “bei tempi” ma, fatti salvi i non pochi studenti davvero eccellenti che per fortuna ci sono ancora, se parliamo di situazioni medie, la sapevo più lunga io, allora, di tantissimi studenti attuali con supervoti. Chi usciva da scuole professionali o tecniche, (nelle quali si studiava comunque, e bene anche, Italiano, Storia, etc.) aveva molte occasioni e possibilità, i datori di lavoro, gli uffici del personale, conoscevano bene il valore del loro titolo di studio, e non era raro che anche diplomati allo Scientifico e al Classico, qualora lo volessero, trovassero impiego abbastanza facilmente. Capisco l’obiezione, non ha senso fare paragoni con una diversissima situazione storica, culturale, economica, sociale, vero, ma quello che in effetti vorrei dire è che se c’è una buona preparazione di base, se c’è una formazione globale della persona anche l’impresa obbiettivamente difficile di trovare un lavoro decente diventa più abbordabile. La diatriba conoscenze-competenze è per me insensata, solo da un corpus adeguato di conoscenze possono sorgere le competenze, e, in particolare, le competenze molto specifiche in un mondo del lavoro in continuo rapido cambiamento corrono il rischio di invecchiare rapidamente, una formazione seria no. Credo che, come succedeva un tempo, quando si viene assunti o si vince un concorso nessuno si aspetti che immediatamente si possa essere operativi, ci si aspetta invece che il neo lavoratore abbia gli strumenti mentali e culturali, la formazione di base, per imparare in tempi ragionevoli a fare ciò che dovrà fare.

4. Tornare alla Costituzione

Penso che questa scuola stia tradendo il suo compito democratico di promozione culturale, sociale ed economica rivolta a tutti i cittadini indipendentemente dalle loro condizioni di partenza. La funzione di “ascensore sociale” esercitata in passato, con limiti e difetti certo, ma comunque effettiva, è quasi totalmente venuta meno e le statistiche lo mostrano ampiamente. “Io son della razza mia, per quanto grande sia, il primo che ha studiato.” cantava Guccini molto tempo fa, adesso i laureati sono figli di laureati, i professionisti sono figli di professionisti e via dicendo.

“I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.” (Art.34 Cost.) Questa frase la conosciamo e amiamo tutti, credo però che le promozioni facili, il successo garantito, i titoli di studio svalutati, non vadano nella direzione di attuarla realmente. 

Un commento

  1. Non posso che essere d’accordo con questa autentica “summa” dell’attuale problematica scolastica. Analisi oserei dire completa, chiara, signorile. Che non potrà che giovare ai colleghi ancora incerti, come nel mito di Ercole al bivio, di Prodico di Ceo, se scegliere la via facile del conformismo o quella più impervia ma superiore della critica pratica della Scuola così com’è adesso.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *