“Per una scuola che torni ad essere scuola” (a cura di E. Frezza), Il Cerchio, 2024

Si susseguono le iniziative editoriali, i convegni e gli incontri in cui si discute di scuola cercando di sfuggire alla narrazione dominante. Proponiamo la recensione degli atti di un recente congresso da parte di una nostra gentile lettrice.

Il volume pubblica gli atti di un congresso svolto a Roma il 22 aprile 2023, organizzato dall’associazione ContiamoCi! Hanno contribuito al volume, oltre alla curatrice, i seguenti relatori: Paolo Di Remigio, Giorgio Matteucci, Chiara Gnocchi, Lorella Pistocchi, Gavino Piga, Michele Cerreta, Fausto Di Biase, Stefano Longagnani, Daniela Righi, Piero Flavio Cuniberto, Felice Panico, Maurizio Tirassa, Marco Cosentino. I relatori sono docenti di tutti gli ordini e gradi di istruzione, dalle elementari all’università, più un attore e regista teatrale che fa corsi di teatro nelle scuole.  

È il primo congresso organizzato dall’associazione dedicato al tema istruzione. Un secondo congresso, intitolato Salvare i saperi per salvare la scuola, si è svolto a Vicenza a novembre 2024. Gli interventi di entrambi i congressi sono stati registrati e sono visibili sul sito LaVoce Tv. L’obiettivo di questi congressi è di diffondere consapevolezza e sensibilità sul grave problema del degrado dell’istruzione, dell’impoverimento culturale, della svalutazione della cultura e degli studi, perché questo processo distruttivo apparentemente irreversibile venga fermato, opponendosi alla narrazione dominante che inneggia all’attivismo pedagogico, alla digitalizzazione e al successo formativo garantito. I relatori fanno una descrizione della realtà del mondo dell’istruzione e ricostruiscono le cause (ideologiche culturali sociali economiche finanziarie geopolitiche) che hanno portato all’attuale situazione, citando un’ampia bibliografia.  

La crisi terribile dell’istruzione è esplosa durante e dopo i due anni di pandemia, segnati da chiusura delle scuole, provvedimenti securitari, digitalizzazione selvaggia.

Com’è possibile che tanti bambini e i ragazzi abbiano una cultura fragilissima, pur passando a scuola gran parte del loro tempo? La prima causa è la pedagogia progressista puerocentrica, un modello che svaluta lo studio, la cultura, l’apprendimento dei principi astratti. Il legame oscuro che unisce Rousseau con Dewey, don Milani e le riforme scolastiche che hanno distrutto la scuola in America e poi in Europa, compresa l’Italia, è un tema che è stato più volte approfondito in questo sito. 

Il grado di istruzione più devastato dalle riforme progressiste è senz’altro la scuola elementare, che è spesso diventata un parcheggio. Sempre più svuotata dei fondamentali, e sempre più riempita di ideologia e stupidaggini. “Dalla giornata dei calzini spaiati per sensibilizzare i bambini sul tema della diversità, fino a quella della pulizia del mondo, nella quale ci si guarda bene dall’insegnare ai bambini a tenere in ordine il loro banco, il loro posto, la loro aula e la loro scuola, mentre li si terrorizza evocando il buco nell’ozono. L’attuale scuola elementare è la scuola della grande bruttezza. Non si insegna l’ordine, non si insegna la compostezza, non si insegna la bella scrittura, non si insegnano le cose belle e a riconoscere il bello” (p. 56). 

Viene da chiedersi: perché? Perché qualcuno ha sentito la necessità di distruggere le elementari, che un tempo funzionavano senza per questo bocciare nessuno? Si spera che l’aggiornamento delle indicazioni nazionali per il primo ciclo possa mettere un argine a questo disastro. 

Non può mancare un intervento sui dsa e la medicalizzazione delle difficoltà scolastiche. La legge 170 sui disturbi specifici di apprendimento è stata promulgata nel 2010 e da allora sono esplose le diagnosi, con conseguente proliferazione dei pdp. Anche questo tema è stato più volte affrontato in questo sito. 

È curioso che le linee guida ministeriali del 2011 vadano in direzione opposta rispetto agli studi internazionali sui dsa. Per esempio, le linee guida suggeriscono l’uso dello stampatello per il dsa al posto del corsivo, quando invece è preferibile il corsivo. Oppure consigliano l’uso del computer per la scrittura, quando invece bisognerebbe migliorare la scrittura a mano. L’uso della calcolatrice fin dalle elementari impedisce ai bambini di imparare a fare i conti, anche i più semplici. La similitudine: come un miope ha bisogno degli occhiali, così un discalculico ha bisogno della calcolatrice, non ha alcun fondamento nella realtà. Infatti l’occhio è un organo rigido, che non si può modificare, mentre il cervello è un organo plastico, che si modifica, le abilità e le competenze migliorano con l’esercizio, quello che spesso non viene fatto. 

Con il piano scuola 4.0 (2022) le scuole sono state inondate di finanziamenti del Pnrr per acquistare hardware e software di ed tech. L’uso delle tecnologie informatiche (pc, tablet, telefonini, applicativi) è iniziato in modo massiccio nel 2010. Si è imposto durante la pandemia, procurando profitti stratosferici alle multinazionali dell’ed tech. Intanto gli apprendimenti di lettura e matematica, misurati con test standardizzati in tutti i paesi Ocse, sono sempre peggiorati, per poi precipitare durante la pandemia. Il rapporto Ocse dice anzi che gli alunni che fanno uso più frequente di internet, pc, telefonino, hanno risultati peggiori, mentre chi è meno digitale studia e impara di più.

Se le scelte politiche fossero razionali e basate sui dati, tutti gli stati dovrebbero sospendere immediatamente gli investimenti in ed tech. Eppure gli stati, compresa l’Italia, continuano ostinatamente a digitalizzare la scuola. Come ha mostrato il rapporto della 7a commissione del senato (2021), che si basa su una quantità di studi psichiatrici e medici, crollano nei nativi digitali le capacità di attenzione, concentrazione, memoria. Diminuisce l’intelligenza, la capacità di pensiero. Aumentano la dipendenza da telefonini (come da cocaina) e disturbi mentali di ogni tipo. 

Tenendo conto di questa realtà, nel 2024 i telefonini sono stati vietati nelle elementari e medie, nel 2025 anche alle superiori. Si spera che questi provvedimenti possano mitigare la dipendenza da telefonini e migliorare la concentrazione e gli studi. 

L’intelligenza artificiale e l’automazione anche dei lavori concettuali probabilmente faranno perdere milioni di posti di lavoro. Probabilmente l’avvento della 4a rivoluzione industriale, basata su intelligenza artificiale e robotica, ha bisogno di uomini più stupidi e ignoranti di quelli di prima. Si rischia uno scenario distopico in cui l’uomo è sostituito dall’algoritmo di cui è servo. 

Che cosa si può fare perché la scuola recuperi la sua identità ritornando ad essere un luogo di istruzione? 

“Occorre anzitutto abbandonare la decrepita retorica dell’innovazione – il mito dell’innovare per innovare, per cui tutto ciò che è nuovo è buono per definizione. Occorre poi liberarsi dalla suggestione vischiosa del protagonismo dell’alunno e dall’enfasi posta sullo spontaneismo di matrice anticognitiva; occorre viceversa rivalutare la figura professionale dell’insegnante, del maestro, che nulla ha a che vedere con quella dell’assistente, del facilitatore, o dell’intrattenitore; è altro. Occorre arrestare l’ingravescente semplificazione dei programmi, il loro immiserimento e la loro deleteria frammentazione; e il correlativo degrado dei libri di testo e del materiale didattico, sempre più pieni di immagini e vuoti di parole, e le poche parole ridotte a slogan; e recuperare invece al più presto l’esercizio della bella scrittura, della buona lettura, della tanto demonizzata memoria; occorre coltivare il linguaggio e stimolare la ricchezza lessicale perché senza la parola non c’è ragionamento e nello sforzo di parlare, leggere e scrivere cova il seme della libertà – dove libertà è il sapersi emancipare da visioni settarie, parziali, ideologiche, imposte dall’esterno, per abbracciare il reale nella sua intrinseca complessità. Occorre opporsi con determinazione alla barbarie tecnologica ….” (p. 12). 

Perché non diventi realtà la situazione descritta in un film di fantascienza, dove un ingegnere informatico, Arturo, viene licenziato dall’algoritmo di intelligenza artificiale da lui stesso creato, e un altro personaggio gli dice: “Un domani magari le cose potrebbero essere peggiori di queste. E poi ancora peggio e peggio. E quando questo avverrà, perché avverrà, Arturo, noi che tutto questo peggio lo abbiamo visto crescere, ci domanderemo: che cosa abbiamo fatto noi per arginarlo? E sai cosa ci risponderemo? E noi come stronzi rimanemmo a guardare” (p. 45).  


Video della presentazione del volume

Un commento

  1. Lettura altamente interessante. Dove sarebbe possibile reperire il volume?
    Già da questo estratto si riconoscono tutti quei punti fondamentali di cui tanti di noi insegnanti discutono ogni santo giorno ma che non riusciamo a marginare. E quand’anche si prova a porre in atto azioni in senso contrario veniamo guardati di sbieco.
    Complimenti per il lavoro e per portare avanti questa voce.

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