Perseverare diabolicum

Sembra impossibile, incrociando le statistiche sui risultati del sistema educativo in Italia con le ricette che vengono ostinatamente proposte e attuate per migliorarlo, non rendersi conto che è necessaria un’inversione di rotta a 180°.


Una scuola debole

Secondo dati OCSE abbastanza recenti riportati da Google, il 27% degli italiani soffre di analfabetismo funzionale. Questo significa che ci sono persone (tante) che, per quanto sappiano leggere e scrivere, hanno scarse capacità di comprensione di ciò che leggono, grosse difficoltà di calcolo e pochissima attitudine a risolvere problemi.

Le principali cause dell’analfabetismo funzionale risiederebbero, secondo gli esperti: 1) nelle carenze del sistema educativo (famiglia e scuola); 2) nelle condizioni economiche disagiate; 3) nell’invecchiamento complessivo della popolazione. 

Qualche considerazione su questa diagnosi:

1. Il sistema educativo è indubbiamente entrato in crisi, ma sembra improbabile che le sue carenze siano dovute all’eccessivo rigore familiare e/o scolastico. Tutto il contrario: è ormai evidente che va chiamata in causa una debolezza di impostazione. Nella nostra scuola ormai non si studia più con rigore ma si viene promossi lo stesso in percentuali bulgare. Ne consegue anche – lo diciamo en passant – che gli insegnanti considerati “severi” non hanno vita facile. Eppure, sorprendentemente, la pedagogia vigente, che sta indirizzando e guidando la scuola in questi ultimi 25 anni, insiste nel voler battere sempre sullo stesso tasto: abbassare il livello di istruzione impartito e richiesto, affinché risulti commisurato a quello di generazioni di studenti ritenute (senza che lo si sia mai dimostrato) meno dotate e più fragili delle precedenti; mentre in realtà è proprio l’applicazione di questo principio che, in un avvitamento pernicioso, genera la debolezza degli studenti e quindi la giustificazione di un ulteriore abbassamento.

2. Le condizioni economiche disagiate sono certamente una delle cause dell’analfabetismo funzionale, ma il punto è anche un altro: mentre in passato la scuola consentiva di superarle con l’impegno e con lo studio, secondo alcuni (per es. Ricolfi e Mastrocola) oggi questo non avviene più proprio perché la nostra scuola, con la sua facilità (vedi anche Santalmassi) e il suo debolismo educativo (vedi anche Crepet, Galimberti, Poli e altri), ha cessato da molto tempo di essere un veicolo di emancipazione sociale.

3. Siamo un popolo invecchiato, è vero, e gli anziani fanno spesso fatica a stare al passo con le nuove tecnologie e a mantenere, insieme alla forma fisica, una loro energizzante vita culturale. Ma l’invecchiamento comporta anch’esso un elemento di debolezza educativa: da una parte molti genitori, pur avendo figli (più spesso l’unico figlio) in età non giovanissima, assumono verso di loro un atteggiamento più amicale che parentale; dall’altra spesso i nonni, che un tempo avevano in famiglia il ruolo di attenuare il rigore paterno e materno, oggi non se lo trovano più davanti e pertanto non possono che associarsi ad un’educazione meno rigorosa.

L’anno dei ricorsi

Questo 2025 è l’anno dei ricorsi contro le pagelle. Quali le cause?

Solo un dirigente scolastico ha potuto pensare di attribuirne la responsabilità al… registro elettronico e di dichiararlo pubblicamente. Più plausibile l’ipotesi di Narciso Mostarda, neuropsichiatra infantile, secondo il quale le nuove generazioni di genitori, i cosiddetti “adultescenti“, non sono cresciute, lasciano i loro figli sempre più soli e di fronte alle loro inevitabili difficoltà non sanno fare altro che diventarne gli avvocati difensori.

Riportiamo qui alcune sue affermazioni rilasciate al sito Quarantunesimo parallelo.it e al “Messaggero” on line. Essendo fallito il patto educativo tra scuola e famiglia, l’insegnante è messo in discussione da genitori “adultescenti”, adulti che sono rimasti adolescenti, incapaci di affrontare responsabilmente i rapporti familiari e le difficoltà scolastiche dei figli. “Il risultato – spiega – è che molti genitori fanno i sindacalisti dei propri figli, difendendoli anche di fronte a giudizi negativi invece di insegnare loro a superare le difficoltà”.

Non solo, ma davanti ad un crescente disagio che non è più solo cognitivo ma anche educativo e ormai persino morale, non si trova niente di meglio che insistere nel voler medicalizzare i ragazzi dando sempre più spazio, a scuola, alla “cultura terapeutica” rappresentata invasivamente da pedagogisti e psicologi. Cultura terapeutica che ci pare però in gran parte espressione proprio della mentalità dell’adultescenza. Non è un caso che molte famiglie vogliano una scuola nella quale i loro figli siano intrattenuti da insegnanti sempre più ridotti al ruolo di facilitatori dequalificati, indirizzati e controllati nelle loro relazioni con gli studenti dai pedagogisti e dagli psicologi, una scuola-asilo magari aperta tutto il giorno e anche in estate.

In altri termini ci pare avesse ragione Giorgio Israel quando scriveva già nel 2010 che “Da noi tutti sono soggetti al fascino discreto del pedagogismo progressista. Testardamente continuiamo ad affidarci agli stessi medici che hanno condotto al disastro, seguendo il principio: se 3 grammi di antibiotico non producono miglioramenti prendine 6, se la febbre aumenta prendine 12, se aumenta ancora prendine 24, e così via”. 

Aggiungiamo che questi perenni adultescenti sono anche elettori: viene difficile affrontare seriamente il problema sotto il profilo sociale e politico.

Tornando al prof. Mostarda, per il quale non bisogna educare al vittimismo ma alla capacità di riprendersi e reagire, ecco la sua conclusione, che condividiamo: “bisogna tornare a educare i giovani alla resilienza, al rispetto delle regole e al riconoscimento delle responsabilità. Solo così si può interrompere il circolo vizioso che trasforma gli adolescenti in adultescenti cronici”. (Quarantunesimo parallelo.it)

Non abbiamo ancora letto il libro di Narciso Mostarda “La società adolescente. Padri e figli al tempo dell’identità smarrita” (Rubbettino 2025), ma ci viene da fare un’ultima considerazione. A noi non sembra francamente possibile che un neuropsichiatra infantile come lui possa essere a digiuno di neuroscienze. Eppure il suo discorso ci sembra molto ma molto diverso, sia nell’analisi che nelle conclusioni, dalle posizioni dei nostri pedagogisti più in voga, i quali non fanno che invocare in continuazione le neuroscienze per sostenere le loro teorie completamente anti-intuitive e soprattutto fallimentari. Qualcuno è nel torto.

2 Commenti

  1. Credo che un articolo così pacato, così ben argomentato dovrebbe almeno far riflettere chi graniticamemte ci considera antiquati, reazionari, insensibili, abilisti, “cattivi”. La mia mamma mi ha insegnato che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire e io aggiungo non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere.

  2. Articolo analiticamente assai lucido: non si può non essere d’accordo sui disastri causati da certa pedagogia. Eppure, insistono…

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