Ci avete rotto il mosaico: cacciamo i mercanti dal tempio!

Un lavoro in cui tutti mettono le mani, un luogo che tutti possono invadere, una relazione in cui tutti possono intromettersi, un mosaico con cui tutti possono giocare è ancora una scuola?
Non servono dibattiti. Serve un movimento di liberazione.


Quelli che io tratto male pretendono di venire nella mia scuola a far lezione ai miei ragazzi,  interrompendo così i miei argomenti e le mie ragioni, quindi interrompendo il mosaico di tutto il mio lavoro di insegnamento.

Caro il mio don Milani. Com’eri fortunato tu, con la tua scuola a Barbiana, lassù, isolata nel nulla. Beato te, che potevi trattar male e cacciare chi interrompeva i tuoi argomenti e le tue ragioni. E soprattutto felici i tuoi studenti, che potevano stare col loro maestro tutto il tempo che occorreva senza nessuno che li disturbasse.

Anch’io ho il mio mosaico di insegnamento. Perché è così, hai saputo trovare la parola appropriata: l’insegnamento è un insieme di tante tessere differenti per dimensione, per forma e per colore, in cui la singola tessera non è né bella né brutta, né utile né inutile, né giusta né ingiusta, ma lo diviene collocata tra le altre in base al progetto del maestro. Io però non posso cacciar via chi interrompe il mio lavoro, chi ruba il mio tempo con i miei studenti, chi mi impone le sue regole e idee, chi mi disturba con le sue paure e le sue sicumere, e chi prende una cosa che ho detto o che ho scritto, isola un tono di voce che ho usato e mi ci fa sopra il processo. E allora il mio mosaico stenta a costruirsi, fatica a delinearsi e rimane incompiuto.

Tu non sai che cosa è successo nella scuola italiana. Nel tuo libro più noto (non ti dispiacere: nell’unico che qualcuno ancora legge, o meglio cita senza averlo letto), Lettera a una professoressa, conteggiavi le poche ore di lezione che in un intero anno scolastico avevamo, noi docenti della scuola pubblica, e avevi facile gioco a farci arrossire. Già: magari oggigiorno ne fossero rimaste altrettante. E giustamente ci chiedevi conto della nostra autorità, che a quei tempi ti pareva fondata su se stessa e replicata ottusamente, invece che esercitata a beneficio degli allievi. Magari ce ne venisse riconosciuta ancora la metà.

Caro don Milani, devi sapere che in Italia negli ultimi venticinque anni è stata fatta una scoperta che nessuno nel mondo aveva sospettato nei millenni precedenti: per far scuola non bastano i maestri, gli allievi ed i libri, ma è necessario un ambaradan di figure accessorie che in tutti i modi si intromettano tra loro. Vieni, te le presento, scherziamoci un po’ sopra.

Ecco subito farsi avanti il più attivo: lo psicologo. Sicuro di sé e del suo posto nel mondo, in puro stile andreottiano mostra poco il suo grande potere e lo esercita dietro le quinte. Passeggiando per la mia scuola, noteresti solo una stanzetta e un cartello dimesso, giusto “sportello” e una sigla, dove riceve. Ma la sua parola è legge, la sua firma è cassazione. Gli studenti che beneficiano delle sue materne attenzioni si staccano una spanna al di sopra degli altri: diventano Intoccabili, non alla maniera della caste indiane che conoscevi, diciamo più al modo di un film che non hai potuto vedere. Dal giorno in cui varcano la soglia dello psicologo essi godono di una giurisdizione speciale non solo nei voti, ma in tutto: guai ad alzare la voce con loro! vae victis a scrivere o dire qualcosa di netto su loro! E speciale è il rapporto che lo psicologo intrattiene col dirigente: pare si parlino spesso, ma le cose che il primo rivela al secondo son forse troppo tremende, escatologiche, non sopportabili da menti più semplici: il dirigente le può solamente accennare, prudente, con l’aria di chi intima “non chiedere oltre”

Questi, che ti ho presentato, è lo psicologo dentro: perché ci son anche psicologi fuori (nella mia scuola, però, è la stessa persona). Essi hanno un potere persino più grande: col pagamento d’una parcella, rilasciano un certificato ripieno di formule e sigle, magico, dove si legge che Alessandro in seconda liceo ha sviluppato improvviso un problema coi numeri (medio, non grave; non tanto perché non gli riescano le operazioni, ma insomma è un po’ lento nel farle), o che Roberta continua ad aver quel problemino di ortografia dalla terza di scuola materna (forse per questo nessuno gliel’ha mai corretta). Ma avere un problema crea ansia, non è vero? Per questo lo psicologo fuori aggiunge senz’altro, nel certificato, anche l’ansia. E poiché, a ben pensarci, essere discalculici o disortografici ansiosi non può far star tanto bene nessuno, nel certificato ci sono, in aggiunta, anche certe ‘comorbilità’ (brutta parola, lo so, ma per fortuna non son contagiose per gli altri a meno che paghin la stessa parcella). Insomma Alessandro e Roberta mi tornano in classe fasciati come neanche una mummia d’Egitto: attento da allora, don Lorenzo, attento, gli puoi fare male a parlare di numeri e accenti! Sii cauto, non dar loro compiti in quello che duole, non essere sadico! Tanto il dottore gli ha detto che il loro disturbo è per tutta la vita.

Ed ecco che vedo il pedagogista. Questi a scuola ancora non c’è, ma è in arrivo: intanto sentenzia ben tronfio su tutti i canali. Per qualsiasi problema scolastico ha già la risposta: crede lui stesso da subito a quello che pensa ogni giorno, anche se ieri non lo sapeva. Del resto si può concentrare sul puro pensiero scolastico: non deve distrarsi facendo la scuola a studenti, preparando lezioni, correggendo verifiche e altro. Ma la sua attività preferita è bacchettare i docenti, dir loro che così come sono non va, non arcigno però: la fotografia lo ritrae sorridente e pensoso, paterno ed affabile. Tu leggi una cosa che dice, e pensi: “che cazzo vuol dire? sei grullo? vien qui tu a far lezione con quello!”, ma lui ne ha già detta una nuova, e poi un’altra, leggero, veloce, impalpabile sempre. Per sua natura non guarda mai indietro: è troppo da poco per lui valutar se qualcosa ha avuto un effetto o l’effetto contrario, che importa del tempo passato? Volare alto si deve. Quel che rimane mistero è come la stirpe dei pedagogisti abbia legato coi gran ciambellani del mio Ministero, e tenga il timone di tutta la scuola: che sia perché entrambi non han simpatia pei docenti?

Ed ecco il docente tutore. Questi non pago delle sue classi, inesausto, sollecito, per pochi denari si prende l’ufficio di far da fratello maggiore a qualche studente di altri. Oddio, è un ufficio di carta, son come le anime morte: compila qualcosa, segna le ore, li vede pochino. Ma la parolina ben messa, la confidenza sinuosa, la consolazione perplessa ti posson levare il terreno di sotto, e Bruno ti torna al suo banco più stronzo di prima. Del resto è docente tutore: tutore vuol dire tutela, se Bruno richiede tutela si vede che c’è pur qualcuno da cui tutelarlo, ti pare? Sei tu.

Prossimo a questi è l’orientatore. I ragazzi, si sa, son sempre spaesati: non sanno chi sono, che fanno, da dove provengono e dove vogliono andare. Come farebbero senza  di lui, che addita il cammino a ciascuno? Ah, come dici? Son proprio la scuola, lo studio, i libri, la letteratura, la scienza, il maestro ed i genitori che devon far questo? Ma no, don Milani, valeva ai tuoi tempi! Oggi ci sono lo smartphone, i social, la rete: che c’entrano i giovani d’oggi con quelli di ieri? Un professionista ci vuole. E come lavora costui? Dunque, prende il portfolio… ma no, che cosa hai capito, il danaro lo prende alla fine: il portfolio, un diario, un elenco, un qualcosa nel quale l’allievo registra le cose che fa, e l’orientatore lo aiuta. Mettiamo che Antonio non sappia se quello che ha fatto lo ha fatto oppur no: l’orientatore lo assiste e insieme risolvon la cosa; mettiamo che Giada non sappia se il corso di yoga la orienti a dritta o a mancina e si aggiri spaesata: l’orientatore la prende per mano, le mostra la via. E poi organizza gli incontri con le facoltà, coi corsi accademici, nei quali ciascuno di questi procaccia gli iscritti a se stesso con l’orientamento in entrata, che sempre si incontra con quello in uscita… Ti senti un po’ perso, Milani?

Il mentore avanza, la gran novità. Già il nome lo dice: saggio, prudente, una cima, si accolla a uno a uno coloro che tu non riesci a istruire. Par che di mentori ne sian fioriti a migliaia, quest’anno, solo per spendere i soldi che l’Europa ci dà: ma io non ci credo, se l’hanno inventato si vede che serve. “Son ripetizioni”, tu dici? Ma no, cosa c’entra: il lavoro del mentore è il mentoring, nobile attività. E così, dopo dodici ore, Gianni che ha tutti tre ti verrà riportato all’ovile… da sei. Dodici ore, sì: perché guardi male? Ah, tu le facevi in un unico giorno di scuola: Barbiana, Milani, Barbiana è rimasta lassù.

Una schiera ora vedo, una squadra: la torma corrente dei referenti. Anche a costoro rimane del tempo, dopo lezione, che non sanno impiegare altrimenti. La loro natura, più attiva (eppure li scorgi quiescenti qualora dal corridoio, la porta aperta per caso, tu getti lo sguardo dentro la classe), ha sempre un progetto pel capo: del resto che cosa miserrima, senza i progetti, sarebbe la scuola? Vuoi limitarti a fare lezione di storia e italiano, di scienze e latino, d’inglese e spagnolo, matematica e arte, di filosofia e di queste cosette piccine? Progetti ci voglion, cose più vive, perbacco, per cui la prigion del mattino abbia almeno uno sfogo di giorno, per cui i genitori iscrivano i figli pensando “ma guarda che bella ’sta scuola, che figo”, per cui il dirigente si guardi allo specchio pensando “e anche quest’anno la sfango, che bella figura!”. Su cento docenti, duecento sono i progetti in collegio: l’appetito viene mangiando. Qualcuno si perde oramai nella notte dei tempi, e neppure si sa se il suo referente sia ancora tra i vivi; qualcuno è nuovo fiammante e promette faville; quell’altro ci sembra una chiavica, un cesso, ma il referente ci tiene e sarebbe inurbano negargli il consenso.

Ma ancora maggiore è la folla, che preme da dietro, dei genitori. Costoro, da quando lo iscrivono, solo una cosa hanno fissa, che controllano sempre e mai non li lascia tranquilli: i voti del figlio. Se tu la mattina racconti cazzate o sei un luminare, se grazie a te il loro pargolo è un nuovo Manzoni o tiene la penna come un punteruolo, a loro non cale; se dopo dieci anni di scuola sa ben ragionare e fare di conto, o è divenuto stordito e incapace d’intendere e di volere, a loro non tocca: i voti, i voti! Prepàrati dunque a giustificarti di fronte al quesito tremendo, implacabile, ferreo che aspetta per certo il docente che, un giorno, abbassa il voto al di sotto del sei: “perché?” “Perché, professore, mi spieghi, mio figlio non ha preso sei?” A te viene forse da dire perché studia poco o perché studia male o perché non sta attento a lezione o perché è pasticcione o perché non capisce una mazza: ma alzi lo sguardo e capisci che tutto è finito, sentenza di morte già s’erge sul capo del reo, e il reo sei tu.

Infine, maestoso, incede il tuo dirigente. Appena arrivato da un altro istituto, da un altro indirizzo, da un altro grado di scuola già sposta e rimesta, pone e dispone, giudica accusa premia punisce… e nulla capisce. A tutti dà retta: allo psicologo di dentro e di fuori, al pedagogista, al docente tutore e all’orientatore e al mentore e ai referenti, e ai genitori, e ad Alessandro e Bruno e Roberta; a te no. Di te non si fida, ti scruta e si chiede perché non ti esalti l’idea di una scuola sì bella e sì aperta, inclusiva, vivace, benessere a iosa, progetti, spettacoli, forum, attività d’ogni genere e specie, gente che viene e che va, dinamismo e modernità: ci dev’esser qualcosa, in questo docente, qualcosa di oscuro, di greve… una malignità.

Ma c’è poco da scherzare. La scuola, come tu dicevi, è l’ottavo sacramento. Per questo, don Milani, ti invidio Barbiana. Coi sassi, la strada cattiva, l’assenza dell’acqua, di luce, gli analfabeti, le mille difficoltà che hai dovuto superare con i tuoi bambini e i tuoi ragazzi. Ma era una scuola. La mia non lo è più.

Cacciamo i mercanti dal tempio.

Sei vittima di mobbing, di pressioni indebite, o dell’atteggiamento ostile o aggressivo di alcune famiglie?

Raccontaci quel che ti accade perché si sappia, per sentirci meno soli, per trovare insieme la forza di reagire.

3 Commenti

  1. “In questo buio la critica della ragione pura mette la fiaccola, non per illuminare le ragioni a noi sconosciute al di là del mondo sensibile ma lo spazio buio del nostro proprio intelletto”
    Kant, “Riflessioni sulla critica della ragion pura”.

    Al di là dell’eleganza dello stile, il Prof. Rebuffat ci testimonia di persona, molto concretamente, come ormai anche nei Social sia lucidamente in atto, dirompente, la demistificazione lucida e avvertita sia della “Fuffa” scolastica, che della sistematica e petulante sottrazione di ore di studio rubate ai ragazzi per dare spazio all’esecuzione delle sentenze di (cattivi) pedagogisti e di (cattivi) psicologi, quando non a improbabili progetti oppure a educazioni separate e formazioni a qualcosa.

    Difficile non condividere con lui la denuncia del degrado culturale e della piattezzza di un ambiente scolastico così conformisticamente piagnone. Un ambiente, quello scolastico che però sta provocando come anticorpi il desiderio che glistudenti abbiano cultura e capacità cognitive reali, andando finalmente oltre la noia inutile del didattichese e del tempo morto della burocrazia compliativa.

    È solo così che si pratica costruttivamente, a scopo realmente didattico ed educativo, il rovesciamento critico dei discorsi sin qui dominanti nelle Direzioni Scolastiche regionali e fra i DS, i loro vice e le varie (anch’esse culturalmente piuttosto esangui) figure di sistema.

    La denuncia operata da Enrico Rebuffat deve però allargarsi ad atto culturale collettivo di rifiuto radicale e tradursi in cambiamenti concreti. Rifiuto radicale cosciente anche da quella parte delle famiglie che è meno culturalmente disastrata e meno tragicamente votata alla sottocultura che è propria delle chat delle mamme.
    La Scuola della Fuffa ha messo la Muffa.

  2. Il mestiere di Docente oggi non si può fare. Occorre fare un passo indietro. Questi ragazzi i neuroni non li utilizzano più Facciamoci una domanda…..

  3. Caro Enrico
    Più che condividere questo magnifico scritto mi ci ritrovo, mi ci specchio, quante volte mi sono arrabbiato perché mi sottraevano i ragazzi (una mattina di maggio mentre lavoravo con una 5^ problematica per prepararla all’esame, a un certo punto escono per un torneo di Bowling) quanta frustrazione nel vedere studenti persi dietro improbabili attività di PCTO e cervellotici progetti, quanti sicofanti, quante spie, quanti colleghi che in privato ti dicono sì, sì, hai ragione e dopo dieci minuti nel Collegio votano le peggiori porcherie, quanti che sgomitano per qualche miserabile incarico o prebenda.
    Il tono è, giustamente, ironico, leggero, ma sotto ci sento tanta sofferenza, quella che è stata anche mia, la sofferenza e il senso di impotenza per non potere più fare un mestiere per il quale e ne quale abbiamo impegnato le nostre migliori energie, nel quale abbiamo creduto sentendo l’urgenza, il dovere morale di nutrire i nostri studenti con un cibo buono, sano, sostanzioso, per provare a contrastare la miriade di nutrimenti scadenti, malsani, che provengono da tutte le parti e che la scuola stessa oramai per la maggior parte propina.
    Pessimismo della ragione ottimismo della volontà, qualcosa forse finalmente si sta muovendo, qualche consapevolezza circola, qualche segno di ribellione a questo intollerabile status quo si percepisce qua e là, speriamo.
    Ti auguro di cuore di potere tornare a insegnare con dignità e soddisfazione.

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