Disciplina, merito, responsabilità: l’importanza del ritorno ad una scuola autorevole

La realtà non può essere affrontata con gli occhiali dell’ideologia senza che ci venga presentato il conto. La disciplina dovrebbe essere un pre-requisito ragionevole per una scuola di qualità, eppure essa è sovente percepita come un superfluo retaggio di epoche buie. Parla un dirigente scolastico.


Nulla disciplina sine severitate” – “Non c’è disciplina senza severità”. Questo antico principio latino, che riecheggia la saggezza educativa di secoli (cfr. Lucio Anneo Seneca nel De Constantia Sapientis), torna oggi ad essere più attuale che mai. In un’epoca in cui la scuola rischia di perdere del tutto la propria funzione formativa e il proprio prestigio, è necessario riaffermare con forza il valore del rispetto delle regole come fondamento educativo imprescindibile, sin dalla scuola primaria.

La deriva del pedagogismo buonista

Negli ultimi decenni, il sistema scolastico italiano ha subito l’influenza di un “nuovismo” pedagogico che, sotto l’apparente veste dell’inclusività, ha spesso generato un deleterio permissivismo. Prendiamo due importanti riforme: quella del 1977 (Legge n. 517), seppure importante sotto molti aspetti rispetto alla inclusione degli alunni con difficoltà (venivano abolite le cosiddette “classi speciali”, che in pratica non concedevano alcuna possibilità di inserimento neppure ad alunni con disabilità lievi), d’altro canto aboliva, ad esempio, la possibilità di non ammissione alla classe successiva nella allora scuola elementare; l’introduzione della scuola media unificata nel 1962, pur nata con ottime intenzioni, ha finito per alimentare l’ideologia culturale del “tutti promossi”, laddove il rigore educativo è stato via via sostituito da una logica accomodante.

I vari pedagogisti che andavano e vanno per la maggiore – da Frabboni a Novara, da Corsini a tanti altri – hanno sostanzialmente affermato una visione della scuola come luogo di accoglienza, dell’approccio “ludico” e del “benessere”, dimenticando – a parere di chi scrive – che educare significa pure porre limiti, correggere, guidare, richiedere anche impegno e perfino sacrificio agli stessi discenti.

Il risultato? Una generazione di studenti spesso incapaci di accettare le regole, di rispettare l’autorità, di comprendere il valore della responsabilità.

Un regolamento che educhi

Nell’Istituto Comprensivo diretto dallo scrivente si è scelta una strada diversa (che comunque rispetta, ovviamente, le norme in vigore). Il Regolamento disciplinare è applicato con coerenza e rigore sulla scuola secondaria di primo grado sulla base delle norme contenute nel DPR 249/98 ed è stato esteso anche alla scuola primaria. Tre articoli fondamentali, corredati da una tabella “infrazioni/sanzioni” chiara e graduata, scandiscono le conseguenze di comportamenti scorretti: dall’uso improprio del cellulare (già vietato in modo assoluto e chiaramente in linea con le successive circolari ministeriali del 2023 e 2024), alla mancanza di rispetto verso il personale scolastico, dagli atti di bullismo, al danneggiamento di beni scolastici e così via. Perfino la sospensione (in casi estremi), per gli alunni della scuola primaria, non è un tabù: è uno strumento educativo. “Qui peccat, paeniteat” – “Chi sbaglia, si penta”. E il pentimento, nella scuola, passa anche attraverso la consapevolezza delle conseguenze.

I risultati sono evidenti: le infrazioni sono in costante diminuzione, il clima scolastico è migliorato, gli alunni comprendono che la scuola è un luogo serio, dove ogni azione ha un peso.

Il disagio educativo delle famiglie disorientate ed il coraggio dei Dirigenti scolastici

Un problema parimenti rilevante in ambito educativo è il rapporto con le famiglie. Sempre più spesso, infatti, la scuola si trova a dover supplire alle carenze educative da parte dei genitori degli alunni, i quali, invece di collaborare con l’istituzione scolastica, la ostacolano. Quando un figlio viene sanzionato per un comportamento scorretto (oltre che, spesso, quando viene valutato in maniera oggettiva negli apprendimenti e nel comportamento), la reazione di alcuni genitori non è quella di interrogarsi sul proprio ruolo educativo, bensì di attaccare la scuola, il docente, il Dirigente. Si assiste a un vero e proprio rovesciamento del patto educativo: la scuola non è più alleata, ma bersaglio.

Paolo Crepet, psichiatra e sociologo, ha denunciato con forza questa deriva. In numerosi interventi pubblici e articoli, ha parlato della “fragilità protetta”, che caratterizza le nuove generazioni, allevate da genitori che non pongono limiti, non sanno dire “no”, e che si trasformano in “genitori spazzaneve”, pronti a spianare ogni ostacolo pur di evitare ai figli la fatica, la frustrazione, il fallimento. Secondo Crepet, “educare significa togliere”, non aggiungere. È la pedagogia della sottrazione: meno eccessi, più limiti. E Crepet, a giudizio di chi scrive, ha perfettamente ragione. Solo in tal modo si può restituire ai giovani il senso del desiderio, della responsabilità, della crescita autentica.

L’incapacità educativa di molti genitori genera dunque un cortocircuito: famiglie che non educano, figli che non rispettano, e Dirigenti scolastici che vengono ostacolati nel loro ruolo e/o minacciati. I Dirigenti scolastici che non sono abbastanza “forti” a livello caratteriale, vengono sostanzialmente intimiditi. In molte scuole, il timore di ricorsi legali, lettere di avvocati, pressioni mediatiche, paralizza l’azione disciplinare. Troppi presidi rinunciano ad applicare i regolamenti per paura delle conseguenze. Ma… “timor non est hīc disciplinae socius” (“qui il timore non è alleato della disciplina”).

La scuola deve riappropriarsi del suo ruolo educativo, anche a costo di scontrarsi con un certo clima sociale. Deve avere il coraggio di dire “no”, di sanzionare, e quindi di educare. E i genitori devono comprendere che il rispetto delle regole non è una violenza, ma un atto d’amore. Come ricorda Crepet: “I giovani non hanno bisogno di adulti che approvino tutto. Hanno bisogno di adulti che abbiano il coraggio di non accontentarli sempre1.

È tempo dunque che alcune famiglie comprendano che la scuola non è un servizio da consumare, bensì una istituzione da rispettare. E che il rispetto delle regole è parte integrante del percorso formativo dei loro figli. In questo contesto è molto confortante osservare (finalmente!) una reale inversione di tendenza, promossa dal Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara. Con la Legge n. 150 dell’1 ottobre 2024, e con la riforma del voto di condotta (luglio 2025), il Ministro ha restituito centralità al comportamento degli studenti, trasformando la condotta in un indicatore formativo e non meramente disciplinare. Le principali novità introdotte:

Voto numerico in condotta anche alla scuola secondaria di primo grado: chi riceve un 5 viene bocciato; chi ha 6 deve presentare un elaborato di educazione civica.
Sanzioni educative: sospensioni accompagnate da attività di cittadinanza solidale presso enti convenzionati.
Multe per aggressioni al personale scolastico: da 500 a 10.000 euro, con destinazione dei fondi alla scuola per materiale didattico.
Rafforzamento dell’autorevolezza dei docenti: “Non è accettabile che uno studente dica a un docente: di te non mi importa nulla” ha dichiarato il Ministro.

Questa “rivoluzione del buonsenso”, come la definisce lo stesso Ministro (contrastata, ovviamente, dai soliti “pedagogisti da salotto”, oltre che dai soliti … ideologi del nulla) segna un ritorno alla scuola come luogo di formazione civica, di rispetto, di merito. Una scuola che non è autoritaria, ma autorevole. Una scuola che educa, e non che asseconda.

 Negli ultimi anni, a sostegno di questa visione, si sono già levate altre autorevoli voci di intellettuali, accanto a quella del citato Crepet: Umberto Galimberti, Massimo Recalcati, Ernesto Galli della Loggia (con il suo illuminante L’aula vuota, Marsilio 2020), Mastrocola-Ricolfi (Il danno scolastico, La  nave di Teseo – 2023), Giorgio Ragazzini (Una scuola esigente, Rubettino 2024) oltre che quella del filosofo dell’educazione Gert Biesta (Riscoprire l’insegnamento, Raffaello Cortina 2022). Tutti denunciano il declino della scuola e invocano un ritorno alla serietà nel rispetto delle regole, oltre che alla valorizzazione del merito ed alla responsabilità.

Conclusione: “disciplina est mater virtutum

La disciplina è madre delle virtù. La scuola deve tornare ad essere esigente, formativa, autorevole. Deve educare al rispetto, alla responsabilità, alla convivenza civile. E deve farlo con coraggio, anche controcorrente, anche quando ciò significa affrontare pressioni esterne.

Nell’Istituto diretto da chi scrive (Istituto Comprensivo, primo ciclo di Istruzione), questa visione è già realtà. E i risultati parlano chiaro: meno infrazioni, più rispetto, più crescita. Perché “educare” non è “accontentare”, bensì “formare”. E la formazione passa, inevitabilmente, dal rispetto delle regole.


[1] in Orizzonte scuola.it: “Crepet ai genitori: educate togliendo. Sottrarre è un gesto pedagogico”. È possibile leggere l’articolo qui.


 

Un commento

  1. Un altro segnale di speranza, e non di poco conto: sì, si può fare. Non esiste un tiranno sanguinario che impone ai docenti e ai dirigenti di degradare le scuole di ogni ordine e grado in un bamboleggiamento senza fine, non esistono leggi che vincolino a distruggere ogni serietà educativa: siamo noi, docenti e dirigenti, che troppo spesso alziamo bandiera bianca preventiva per assecondare un’impostazione che ci sembra dominante e che in realtà non condividiamo.

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