Le scuole di cui abbiamo bisogno e perché non le abbiamo

Finalmente un’intervista distesa ed accurata in cui è possibile esporre con agio il punto di vista di coloro che vedono nel pedagogismo montante un vero rischio per la democrazia e per il futuro.


Capita molto di rado che i mass-media dedichino ai vasti problemi della scuola italiana uno spazio che superi i due minuti, durante i quali si giunge a stento a mettere a fuoco qualche quesito di natura generale, o si registra il disappunto di docenti, genitori o altri esponenti di un mondo vasto e variegato, senza che nulla o quasi possa essere affidato ad una distesa argomentazione razionale.

In questa lunga intervista in diretta video pubblicata sul sito di Byoblu, Fausto Di Biase ed Elisabetta Frezza hanno finalmente modo di ricostruire e delineare il problema capitale della scuola italiana di oggi, ovvero la presenza asfissiante di un pedagogismo distruttivo che ha ormai stravolto il fine tradizionale dell’istruzione, ovvero la trasmissione intergenerazionale del sapere. Il pedagogismo naturalistico, puerocentrico, attivistico ha purtroppo trovato sponda, soprattutto per ragioni ideologiche, anche tra moltissimi insegnanti italiani convinti di dover dare spazio ad una scuola spacciata come inclusiva e democratica, ma ignari di quali siano stati i reali risultati di quel canone pedagogico nei paesi dove esso è stato realmente applicato, ormai a partire da un secolo fa.

Gli ospiti si servono utilmente di numerosi riferimenti storici e concettuali reperibili nell’importante saggio di Eric Donald Hirsch, Le scuole di cui abbiamo bisogno e perché non le abbiamo, pubblicato negli Stati Uniti nel 1996 ma tradotto in italiano solo recentemente. Il testo mostra con chiarezza non solo i danni inferti dallo spontaneismo, dal formalismo didattico o dalla cultura dei progetti alla preparazione di intere generazioni di scolari statunitensi; ma rende anche tangibile – attraverso una descrizione analitica di molte pratiche giunte fino a noi senza alcuna modifica – l’estremo provincialismo degli studiosi italiani, che, con un ritardo tipico dovuto alla mera importazione pedissequa di idee già fallite oltreoceano, si sono rivelati disponibili a sovvertire il sistema scolastico italiano (certo imperfetto, ma anche ricco di punti di forza) in nome di un progressismo e di un nuovismo ottusi, incapaci di distinguere i progressi dalle novità fini a se stesse, le quali penalizzano prima di tutto gli scolari e gli studenti più fragili.

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