Licenziata per incapacità didattica: un’intervista e una proposta operativa

Torniamo sulla sconcertante vicenda di S. S., la docente licenziata per “incapacità didattica” sulla base di lamentele di genitori, critiche di colleghi di sostegno e un’ispezione di tre ore di lezione. Questa storia ci insegna che la procedura di dispensa ex art. 512 deve essere radicalmente cambiata.


L’intervista

Cara S., prima di ripercorrere la tua vicenda sento il bisogno di chiederti come vivi, da disoccupata, e come riesci a cavartela nel quotidiano: immagino che prima del licenziamento tu non campassi di rendita ma, come tutti i docenti, del tuo stipendio.

Grazie. È una domanda che nessuna istituzione si è mai posta, compresa la dirigente, che non si è minimamente preoccupata delle devastanti conseguenze che ho subito a tutti i livelli: morale, psicologico, sociale, familiare, economico e previdenziale. Ringraziando Dio viviamo con lo stipendio di mio marito; ma non è più sufficiente per andare avanti, col mutuo della casa da pagare e tutte le spese di cui non si può fare a meno. Quando avevo il mio stipendio contribuivo, adesso dipendo da mio marito e devo spendere i risparmi di una vita per pagare un avvocato. Non puoi immaginare quanti soldi occorrano per difendersi in tribunale. Ne ho già dovuti spendere molti per il ricorso al giudice del lavoro, ma purtroppo questi ha considerato come prova sufficiente della mia incapacità didattica un’ispezione di sole tre ore. Ora c’è da pagare l’appello. Ho provato a cercare lavoro in una scuola privata, ma fanno tante domande sul perché una docente che era di ruolo possa venire a lavorare da loro, e si meravigliano quando sentono che sono stata dispensata dal servizio perché nemmeno loro, che sono nel privato, riescono a licenziare nessuno. Lo stipendio poi nel privato è veramente misero, molto inferiore a quello nel pubblico che già è quello che è.

E la tua condizione emotiva, adesso, qual è? Hai avuto ripercussioni sulla tua salute fisica o psichica?

L’anno scorso in piena estate, alla notizia del licenziamento, non facevo altro che piangere ogni giorno. Avevo forti mal di testa, insonnia, dolori muscolari, tensioni e uno stress fortissimo, sintomi che ancora persistono e che ho cercato di alleviare praticando ginnastica posturale e stretching. Ho creato un sito web di cucina siciliana e un canale youtube, che mi rasserenano un po’ perché a me piace molto cucinare. Ho continuato a formarmi leggendo testi sulle mie discipline. Ho sempre avuto passione per la matematica e le scienze; il solo pensiero di non poter insegnare le materie a cui ho dedicato la vita mi stringe il cuore. Da un punto di vista psicologico sono ovviamente molto triste, moralmente abbattuta; ho un dolore dentro che non riesco a calmare, perché quello che ho subito è ingiusto e non lo meritavo. Sinceramente non ritengo di aver fatto male il mio lavoro: è solo che non sono gradita a qualcuno perché secondo loro dovrei fare ciò che vogliono genitori, dirigenti e colleghi, e io invece seguo i miei principi.

Dunque, noi del Gessetto abbiamo potuto redigere del tuo licenziamento un preciso resoconto, sostanziato non della tua versione dei fatti ma dei tre documenti ufficiali prodotti dall’amministrazione: la richiesta di accertamento ispettivo inviata dalla dirigente scolastica, la relazione sull’ispezione stilata dall’ispettrice del ministero, il decreto di licenziamento firmato ancora dalla dirigente. Alcuni lettori, di fronte all’inconsistenza delle accuse e soprattutto delle prove a tuo carico, hanno commentato avanzando l’ipotesi che sussistano altri “documenti segreti”, a noi non disponibili, che testimonierebbero i motivi “veri” e molto gravi del tuo licenziamento: tu ne sai qualcosa?

Non esistono “documenti segreti”. Quello che sapete è quello che mi è successo. Se qualcuno pensa che io abbia fatto chissà che cosa, sbaglia, perché è tutto riportato nella relazione ispettiva. Mi preme fare una considerazione: spesso neppure chi commette veri e propri reati a scuola viene licenziato, ma al più sospeso. Io per aver fatto il mio lavoro con impegno, passione e dedizione, lo perdo senza alcuna commiserazione. Tutto questo è davvero assurdo e inconcepibile.

Certo, ci mancherebbe soltanto, in questa storia già abbastanza incredibile, la presenza di documenti segreti. Un altro commento – comincio da questo genere di obiezioni perché, se non si sgombra il campo dalle fantasie rassicuranti, è inutile entrare nel merito – è stato questo: dov’è il problema di questa collega? Se il licenziamento è stato illegittimo ci penserà il giudice ad annullarlo. Ora, a parte il fatto che considerazioni del genere sulla pelle degli altri sono veramente ciniche, e a parte il fatto che la possibilità del ricorso non solleva l’amministrazione dal dovere della correttezza e dell’imparzialità, ti chiedo: ma è così indolore, facile ed automatico ottenere giustizia in tribunale?

Intanto ho dovuto attendere un anno per ricevere l’esito della sentenza di primo grado del tribunale del lavoro, a me negativo con motivazioni a mio avviso aberranti. Ricorrere in tribunale significa entrare in un tunnel, molto dispendioso dal punto di vista economico e morale, ed è sempre possibile trovarsi con la beffa finale di non ricevere giustizia. Sono profondamente ferita, indignata e disgustata che il mio ricorso sia stato respinto in quel modo in primo grado. Purtroppo devo dire che ho poca fiducia nella giustizia italiana, perché mi sembra che per i più deboli non ce ne sia. Sono stata abbandonata da tutte le istituzioni alle quali ho inviato più volte richieste di interessamento. Nessuno mi ha mai risposto, solo il Gessetto ha preso a cuore il mio caso.

Riprendiamo la tua storia. I documenti accusatori ti descrivono come una docente assolutamente priva delle “competenze psicopedagogiche”, senza fare alcuna menzione di aspetti relativi alle discipline che insegni (la matematica e le scienze). A quanto pare è stato questo il motivo del tuo licenziamento: l’assunto dell’amministrazione è stato che un docente privo di competenze psicopedagogiche non possa insegnare, a prescindere da tutto il resto. I documenti però non dicono quali siano queste competenze psicopedagogiche, per cui riesce difficile comprendere se manca o non manca qualcosa che non si dice cos’è. A te hanno detto quali sono? Per quanto tu hai potuto capire, quale precisa competenza secondo loro a te manca in modo insanabile e insopportabile?

Mi rimproverano la scarsa empatia nei confronti degli alunni deboli, come se non avessi a cuore il loro stato. Ad esempio mi hanno biasimata per non aver dato la mia disponibilità a svolgere l’istruzione domiciliare a un alunno con problemi di salute, non considerando che semplicemente non mi sentivo di farlo. Ogni scusa è buona per incolparti, anche laddove non avevo nessuna colpa, perché costruiscono pregiudizi falsi su di te con lo scopo di denigrare il tuo lavoro e la tua personalità. Il fatto che io possa essere caratterialmente severa, nella giusta moderazione, non può giustificare che io debba essere punita addirittura con la perdita del lavoro! A volte la severità è utile per il bene degli alunni e non è applicata a scopo punitivo, come possono aver frainteso alcuni. Ma allora quanti insegnanti dovrebbero essere licenziati per il loro stile severo? La verità è che questo è stato un pretesto per mandarmi via: per loro ero diventata scomoda all’interno della scuola, così si sono impuntati sul mio carattere. Di questi tempi qualità come le mie non piacciono ai dirigenti, perché vorrebbero che i docenti fossero sempre compiacenti anche verso situazioni inaccettabili. Questa è la realtà che ormai si vive nella scuola di oggi. Trent’anni fa un docente, anche il più severo, non avrebbe mai temuto un licenziamento, in quanto la figura dell’insegnante era di per sé autorevole, e i genitori non si sarebbero mai messi a fargli la guerra perché avevano rispetto per i docenti. Oggi proteggono sempre i figli, ma così facendo li rendono sempre più fragili e incapaci di affrontare le sfide della vita.

Per la tua impressione, tutti i colleghi che hai incontrato nei vari istituti in cui hai lavorato erano invece dotati di queste “competenze psicopedagogiche” che a te mancherebbero? Dal tuo punto di vista, quali erano le differenze tra te e loro nella relazione con gli studenti?

Ti faccio un esempio parlando della vicepreside della mia ultima scuola. Gli alunni stessi mi dicevano che lei non li mandava mai in bagno, e che loro erano intimoriti dai suoi modi severi, al punto che nemmeno gli alunni più vivaci si permettevano di disturbare la lezione. Il suo carattere era più rigido del mio, ma ovviamente lei non ha avuto segnalazioni e passava come la docente che sapeva ‘gestire la classe’, nonostante gli alunni fossero semplicemente intimiditi. Quando io le davo il cambio, i ragazzi mi chiedevano subito di andare in bagno, così avevo una marea di gente che aveva un’urgenza fisiologica. Secondo te questa insegnante si può considerare una docente con le adeguate “competenze psicopedagogiche”? Durante le mie ore i ragazzi cominciavano a riprendere fiato e a parlare, dopo un’ora di silenzio assoluto. Io invece che non ho avuto alcun ruolo all’interno della scuola, se non quello di docente, venivo segnalata per qualsiasi cosa, anche per il mio modo di insegnare. La mia relazione con gli studenti è stata quella di una docente che ha mantenuto una certa distanza, com’è giusto che sia, mentre altri docenti si approcciavano troppo confidenzialmente. Ti riporto un altro esempio: il giorno in cui venne a ispezionarmi la dirigente, un alunno con disturbi dell’attenzione e iperattività le venne vicino per chiederle se poteva andare in bagno, scavalcandomi; e lei se lo abbracciò come se fosse suo figlio. Ma che cosa si può dire di questo gesto? Lo trovai piuttosto ridicolo e inappropriato dentro la classe. Forse voleva spingermi ad essere accogliente come lei? Ma io non faccio la mamma che coccola i suoi scolari, perché non è nel mio ruolo, a questo già ci pensano i loro genitori che li proteggono senza limiti, facendoli crescere nell’ansia e nella paura di sbagliare. Nella scuola i docenti fanno questo e altro: vedi ad esempio alcuni docenti di sostegno che fanno da baby-sitter e asciugano le lacrime agli alunni se prendono cattivi voti alle interrogazioni. Sinceramente non penso di essermi disinteressata del loro stato d’animo, ma dall’altra parte questo non viene visto e quindi ti guardano con occhio titubante.

Restiamo sui colleghi. Dai documenti emerge che l’ispettrice ha dato pieno credito ai giudizi negativi sulla tua professionalità espressi da alcuni di loro, soprattutto quelli di sostegno che si sono trovati in classe insieme a te. Si trattava di colleghi con grande esperienza, molto maggiore della tua? Per caso avevano motivi di antipatia personale nei tuoi confronti? Perché secondo te hanno deciso di nuocerti così gravemente?

I colleghi di sostegno dell’ultimo anno non li avevo mai visti prima, erano per lo più supplenti; non posso dire se avessero più esperienza di me. Certo che avevano antipatia personale nei miei confronti, in quanto io segnalavo i loro ingressi in ritardo in aula, mentre io ero sempre a scuola con largo anticipo (entravo alle 7.35). Persino la stessa referente di plesso, divenuta poi secondo collaboratore, ritardava di alcuni minuti nel darmi il cambio, ogni settimana, nonostante l’ora precedente non fosse in servizio in alcuna classe. Io non ho mai fatto aspettare nessuno, mi sono fatta sempre trovare davanti alla porta dell’aula, come prevedeva il regolamento d’istituto. Inoltre non avevamo buoni rapporti in quanto io non mi adeguavo alle loro metodologie “accoglienti” verso gli alunni, e allora cercavano di ostacolarmi nella mia didattica, facendomi aspettare nei cambi dell’ora e boicottandomi nell’attribuzione delle sostituzioni dei docenti assenti, preferendo dare l’eccedenza a un altro docente piuttosto che a me che avevo dato disponibilità. Sì, credo che volessero vendicarsi alla prima occasione.

Le critiche che i colleghi di sostegno hanno espresso sono del tutto generiche: “manca di metodo didattico”, “ha un modo di insegnare non proficuo”. A te è sembrato che tutti i tuoi colleghi di quell’istituto fossero dotati di un metodo di lavoro “più proficuo” del tuo? In generale, come si lavorava in quell’istituto?

A parte il fatto che anche molti di loro adottavano metodi tradizionali come la semplice lezione frontale e non usavano le nuove tecnologie nella didattica, no, non penso che abbiano avuto un metodo di lavoro più proficuo del mio. Però erano piuttosto propensi a dare voti alti anche ad alunni che non erano all’altezza di quei voti. Negli scrutini non ho quasi mai visto voti insufficienti nelle maggior parte delle materie, e se la dirigente chiedeva di alzare qualche voto per ‘aggiustare’ le medie, non avevano alcun problema a farlo. Nell’ultimo scrutinio sono stata contestata perché non volevo alzare i voti nelle mie materie ad alunni che non meritavano di aver la sufficienza, e per questo la dirigente, con i suoi discorsi, ha convinto il consiglio di classe a votare contro di me. Ma qual è l’obiettivo di regalare voti a chi non lo merita? Se una dirigente arriva a forzare la mano, evidentemente lo fa per paura di ripercussioni su di lei e quindi non sa svolgere il proprio ruolo.

A un certo punto, leggendo tutte le dichiarazioni contro di te rilasciate dai colleghi, ci si imbatte in una che a mio avviso è rivelatrice: S. S., dice un collega, “dà voti bassi e mette molte note”. Quanto pensi che abbia pesato questa severità nella persecuzione che hai subito? Secondo te che cosa sarebbe successo se tu avessi smesso di dare insufficienze e note?

Sì, penso che siano proprio le note e i voti bassi ad avere avuto un peso consistente nella persecuzione che ho subito. Gli altri docenti non li mettevano. Anche il mio avvocato in udienza ha fatto questa domanda: “se non avesse dato voti bassi e note, avrebbe ricevuto lo stesso trattamento?” Ovvio che no! Se avessi regalato i voti come gli altri, forse non avrei avuto lagnanze. Ho dato anche voti alti ad alunni meritevoli ma i loro genitori, pur di non mettersi contro gli altri, si sono messi contro di me, per paura che i loro figli venissero esclusi dai gruppi Whatsapp e dai compagni. Io ho sempre dato i voti per quello che gli studenti hanno dimostrato e studiato.

L’accusa che ho trovato al tempo stesso più incredibile e più cattiva è questa: il tuo “rifiuto”, questa è la parola, di fornire assistenza domiciliare pomeridiana a uno studente assente per malattia. Ora, tutti sanno o dovrebbero sapere che una simile attività si configura come mero volontariato, in quanto non rientra nell’orario di servizio del docente. Per cui non di “rifiuto” si deve parlare, ma semplicemente di non disponibilità, di non richiesta di svolgere un’attività aggiuntiva, insindacabile come tutto ciò che esula dal contratto di lavoro. Com’è stato possibile che l’abbiano utilizzata contro di te per screditarti, e che addirittura abbia un peso nella sentenza del giudice del lavoro che in prima istanza ha respinto il tuo ricorso?

Ti ho già risposto prima su questo. Vedono il male dappertutto, per trovare altre aspetti negativi su di me hanno aggiunto questo e altro, per far apparire al giudice la mia scarsa sensibilità a certi aspetti sociali. Ma io non mi vergogno di non aver prestato servizio di istruzione domiciliare, è un fatto di coscienza personale che non può essere sottoposto a una gogna pubblica. Tra l’altro non c’era nemmeno bisogno della mia disponibilità, visto che già la collega di matematica che condivideva la mia stessa cattedra in quella classe (la dirigente aveva diviso la cattedra di matematica e scienze) aveva già dato disponibilità a fornire assistenza domiciliare pomeridiana.

Credi che le tue continue segnalazioni di disservizi, quello “stillicidio di email” che è stato considerato (e sinceramente la cosa grida vendetta) una prova della tua incapacità didattica, abbiano avuto un peso nel tuo caso?

La risposta è sì. Ti faccio tre esempi. Primo caso. La dirigente consentiva a una docente di sostegno lo spostamento da un plesso all’altro durante l’orario di servizio, con conseguenti ritardi nell’ingresso in aula quantificabili dai 10 ai 13 minuti ogni giorno per sei giorni alla settimana. Ho segnalato più volte, sia verbalmente che per e-mail, alla dirigente questo problema, che di fatto danneggiava lo studente con disabilità nel suo diritto al sostegno. Secondo caso. Fin dal primo anno ho segnalato sia alla dirigente che alla DSGA la sporcizia di cattedra e pc all’inizio della mattina, cosa che non dovrebbe accadere perché si suppone che il giorno prima i collaboratori scolastici abbiano pulito le superfici. Le mie segnalazioni non hanno avuto alcun esito e nessuno è venuto in classe a rilevare quanto da me scritto, così ho inviato anche dei filmati della polvere sui pc e sulla cattedra. Gli altri docenti per paura di essere malvisti se li pulivano da soli, e una collega mi diceva che questa situazione era già esistente da quindici anni. Terzo caso. Durante i mesi invernali ho avuto discussioni sia con la dirigente che con i suoi collaboratori perché gli alunni chiedevano l’apertura delle finestre con i termosifoni accesi. Alla mia proposta di chiedere al Comune di far spegnere i termosifoni, visto lo spreco di calore, mi è stato risposto che “la cosa non mi doveva interessare” purché gli alunni stessero in un clima a loro gradito. Mi chiedo quale insegnamento di educazione civica avrà trasmesso agli alunni la dirigente, se poi all’atto pratico nulla si faceva per la sostenibilità ambientale ed economica.

Vorrei tornare su quella mattina, venerdì XX XX 20XX, quando l’ispettrice entrò nelle tue classi per osservare tre lezioni. Mi ha colpito il fatto che fossero le ultime tre ore della settimana, in tre prime classi, ad inizio anno scolastico: è facile immaginare il livello di freschezza, di attenzione e di partecipazione che le classi possono avere in quelle condizioni. Che cosa ricordi di quelle tre ore? Come le hai vissute?

Ho svolto regolarmente ciò che dovevo fare: ho interrogato degli alunni DSA con verifiche programmate con largo anticipo, in una classe ho spiegato scienze. Ma sono stata contestata dall’ispettrice sulla mia lezione, chiara e semplice, che persino l’alunno diversamente abile ha capito, al contrario di quanto ha fatto lei, che del resto era del tutto incompetente in materia. Ovviamente non le ho vissute a mio agio, sapendo che quella sua presenza avrebbe determinato conseguenze nefaste su di me. A mio giudizio, comunque, ho condotto una buona lezione in tutte e tre le ore. I ragazzi sono stati coinvolti maggiormente nella correzione degli esercizi di matematica, e non posso dire che sia andata male, come fa apparire lei nella relazione.

Una cosa che, credo, molti lettori si sono chiesti è questa: poniamo che la docente fosse per davvero manchevole di metodo didattico e di alcuni aspetti professionali; ma che cosa ha fatto la dirigente per sostenerla nella sua difficoltà? Perché certo viene strano pensare che la scuola “dell’inclusione”, che ammette, scusa e sostiene qualunque carenza, anche le più gigantesche, da parte degli alunni, debba semplicemente espellere un docente abilitato e vincitore di concorso e non invece cercare di accompagnarlo e migliorare la sua professionalità. Dunque ti chiedo, quali sono il sostegno e la collaborazione che hai ricevuto dai tuoi dirigenti prima che iniziasse l’iter del licenziamento?

Sostegno? Sono stata convocata più volte dalla dirigente perché in buona sostanza lei non voleva sentire più le pressioni dei genitori che andavano da lei a sindacare sui loro diritti e mai a riconoscere i loro doveri. No, non ho ricevuto nessun appoggio da parte di tutti i dirigenti che si sono susseguiti, anzi mi hanno messo a confronto con gli altri docenti che non avevano problemi con i genitori, per dimostrare che dovevo cambiare io. Mi hanno punita, non aiutata, assegnandomi qualche anno fa nove classi con circa 190 alunni, togliendomi la matematica per darmi solo le scienze (come se il problema fosse la matematica). In quell’anno feci anche ricorso contro quella cattedra discriminatoria, purtroppo con quello stesso giudice che poi mi ha rigettato il ricorso contro il licenziamento, che mi diede anche in quell’occasione esito negativo. All’ultima dirigente dissi che anche i genitori dovevano rispettare il Patto di Corresponsabilità per le mancanze dei loro figli, e lei mi rispose che non li poteva obbligare. Mi chiedo: i genitori non si possono obbligare a rispettare un accordo, l’insegnante si può licenziare se lo rispetta?

C’è una domanda che voglio farti da parecchio tempo. Tu sei siciliana, trasferitasi nella provincia laziale per lavoro. Quando ci siamo sentiti per telefono, il tuo bell’accento siciliano è stata la prima cosa che ho notato. Sinceramente, ritieni che non dico la tua origine siciliana, ma la tua alterità rispetto al paese in cui lavoravi abbia giocato un ruolo oppure no nel tuo isolamento e nel tuo licenziamento?

Sì, secondo me la mia origine siciliana ha giocato un ruolo nel mio licenziamento, e mi sento discriminata anche da questo punto di vista. Forse preferivano dare quel posto di lavoro a un loro conterraneo, piuttosto che a me. Io ho sudato per quel posto. Ho lasciato la Sicilia a 29 anni, ho fatto cinque anni di gavetta prima di entrare di ruolo, lasciando i miei familiari e la mia terra per amore di questo lavoro. Arrivai nel Lazio la prima volta per accettare uno spezzone di sei ore, per dirti che avevo tanto desiderio di iniziare a lavorare e insegnare matematica. Dopo 15 anni, ad un tratto, mi ritrovo svaniti nel nulla ogni mio sforzo, i miei sogni, gli anni di lavoro svolto con onestà. Ho sempre avuto un forte senso del dovere, della puntualità, del rigore, della serietà nello svolgere il mio lavoro. Mai un ritardo ritardi, tanti sacrifici, studi, formazione, viaggi.

Ma non c’è stato nessuno, tra colleghi, genitori e alunni, che tu abbia sentito solidale con te?

I colleghi dell’ultima scuola, a parte due di matematica, non mi hanno neppure chiesto cosa fosse successo: si sono dimostrati insensibili, freddi, silenti, cinici. Non ho ricevuto nessuna chiamata in questi mesi, nemmeno per chiedermi come sto. Si sono dimenticati di me e magari sperano che io non ritorni più. Questi sono i docenti che hanno le “competenze psicopedagogiche” di cui si vantano? Solo voi del Gessetto vi siete interessati al mio caso.

A posteriori, ti rimproveri qualcosa? Se potessi tornare indietro, in che cosa modificheresti le tue azioni e i tuoi comportamenti?

Non mi rimprovero nulla, perché non ho fatto nulla di male a nessuno. Ho semplicemente svolto il mio lavoro onestamente, con impegno, serietà, puntualità, professionalità, e non mi devo sentire io in colpa per quello che mi è accaduto. I miei comportamenti sono stati quelli di una docente seria, che ha voluto il bene degli alunni per una crescita responsabile e fondata su valori sani. Quelli che devono cambiare sono i loro genitori, che la devono finire di ostacolare il lavoro delicato di un insegnante, ma piuttosto devono collaborare assieme a lui per migliorare l’apprendimento e la crescita culturale e civile dei loro figli.

Cambiare la procedura

La storia di S. S. deve insegnarci qualcosa. Il diritto dell’amministrazione a valutare la capacità didattica di un docente, anche dopo la sua assunzione in ruolo e la sua abilitazione all’insegnamento, non può essere esercitato in forme così esposte all’arbitrio personale e così palesemente parziali e squilibrate. Stiamo parlando del licenziamento di un lavoratore che la stessa amministrazione ha assunto e abilitato all’esercizio della sua professione, cioè di un atto gravissimo e definitivo: la procedura che porta a quest’atto deve essere adeguata e pertanto completamente diversa da quella utilizzata nel licenziamento di S. S.

  1. L’osservazione del lavoro in classe, per potersi definire sufficientemente seria e fondata, non può ridursi a un unico giorno di servizio, ma deve durare per l’orario di servizio settimanale del docente, comprendendo tutte le discipline e le classi in cui il docente insegna. Diversamente il quadro sarà parziale e aleatorio.
  2. È inconcepibile che l’osservazione in classe, che può condurre a un licenziamento, sia affidata a una singola persona, così come nel concorso per la docenza e nell’esame di abilitazione sarebbe inconcepibile avere non una commissione giudicante ma un giudice monocratico. È necessaria una commissione ispettiva.
  3. Tra i componenti la commissione ispettiva, almeno uno deve essere un docente di ruolo abilitato e titolare nella stessa classe di concorso del docente sottoposto all’osservazione. Cosa diremmo se, nei concorsi per la docenza e negli esami di abilitazione, non ci fosse nella commissione nessun docente della classe di concorso degli esaminandi?
  4. Nella relazione ispettiva e nell’eventuale decreto di dispensa per incapacità didattica, non è ammissibile che venga dichiarata in maniera assolutamente generica la mancanza di intere categorie di competenze, ad esempio “le competenze psicopedagogiche”: le carenze devono essere esplicitate in maniera specifica.
  5. Giudizi espressi dai genitori degli alunni non possono trovar posto in una procedura di licenziamento nella scuola pubblica, né in forma diretta né de relato da parte di colleghi del docente. Questo è semplicemente indegno.
  6. Informazioni fornite dai colleghi che effettuano compresenza col docente e da colleghi del consiglio di classe (non da altri) dovranno essere vagliate con estrema prudenza ed estrema attenzione dalla commissione ispettiva, e unicamente dopo, non prima dell’osservazione in classe. L’osservazione deve essere il primo atto dell’ispezione, non l’ultimo come nella vicenda di S. S., perché altrimenti il rischio di un pregiudizio da parte dell’osservatore è ineliminabile.
  7. Dai colleghi che effettuano compresenza e dai colleghi del consiglio di classe, la commissione potrà acquisire come si è detto informazioni su atti compiuti o omessi dal docente, non già giudizi personali: affermazioni come “non ha metodo didattico” e “ha un modo di insegnare non proficuo”, espressi su S. S. dai colleghi di sostegno neppure abilitati in matematica e scienze, sono stati utilizzati come prova della sua incapacità didattica dall’ispettore ministeriale e dalla dirigente.
  8. La commissione ispettiva dovrà stilare una valutazione complessiva della capacità didattiche e professionali del docente, non un atto d’accusa mirato su un singolo aspetto che sottace tutti gli altri. Altrimenti la procedura assume i tratti di un’operazione di killeraggio.
  9. Il dirigente scolastico, cui per legge compete il decreto di dispensa per incapacità didattica ex art. 512, dovrà sulla scorta della relazione ispettiva e degli altri elementi conoscitivi non solo evidenziare le carenze riscontrate nel docente, ma illustrare come quelle carenze determinino la sua complessiva incapacità didattica.

Sei vittima di mobbing, di pressioni indebite, o dell’atteggiamento ostile o aggressivo di alcune famiglie?

Raccontaci quel che ti accade perché si sappia, per sentirci meno soli, per trovare insieme la forza di reagire.

2 Commenti

  1. Prima di tutto la massima solidarietà alla collega. La vicenda è sconcertante, ammesso e non concesso che la collega abbia qualche manchevolezza vi è un’ampia gamma di interventi possibili che va dal semplice colloquio informale alla sospensione senza retribuzione (sospensione temporanea NON licenziamente) con successivo trasferimento d’ufficio. Qui qualcuno in alto ha voluto sparare a un passerotto con il bazooka e il motivo è chiaramente uno solo, la resistenza e il non volere accodarsi e collaborare con l’allegro carrozzone della scuola del gioco, dei progetti, della fuffa, dei voti gonfiati, delle promozioni garantite. Come giustamente dice la collega docenti condannati per reati penali vengono trattati più delicatamente. Sul piano giuridico poi, mi pare che vi siano delle vere e proprie mostruosità, accuse generiche, inversione dell’onere della prova, scorrettezze e abusi di tutti i tipi. A scuola si dovrebbe insegnare l’educazione civica giusto? Mi pare che quindi si debba insegnare cos’è un regime culturale e politico liberal-democratico con le sue varie garanzie, diritti e doveri, quello che in altro modo si chiama anche lo Stato di diritto.

  2. Inaudito… inconcepibile.
    Massima solidarietà alla collega che ha subito questo evidente abuso di potere.
    Ecco cosa, in extremis, può accadere a chi non si allinea alla politica scolastica. Ma se fossimo tutti (o la maggioranza) a non allinearsi? Che accadrebbe?
    La nostra è una categoria che doveva svegliarsi… (e forse lo può ancora).

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