Parlare d’aggressività a scuola

Non si tratta certo di accettare l’inaccettabile; ma è davvero possibile modificare in modo significativo le manifestazioni della sfera affettiva delle persone attraverso l’intelletto?


Nel recente dibattito sull’educazione all’affettività nella scuola ci sono almeno due omissioni che meritano d’essere segnalate, poiché mi sembrano basilari. La prima riguarda il fatto che – per esempio – le condotte aggressive che condizionano in negativo la vita sociale degli individui hanno origine nella loro prima infanzia, nel rapporto con i genitori, e proprio per questo lasciano una ferita che è difficile rimarginare anche tanti anni dopo: soprattutto se si pretende di farlo con interventi di gruppo, su tempi brevi, e senza la possibilità di indagare davvero nel profondo della psiche.
La psicoterapeuta infantile Asha Phillips focalizza questo ed altri aspetti rimossi della questione in un testo che venti anni fa ha avuto molto successo, e ancora mantiene la freschezza che è propria dell’esperienza clinica:

“Max si ritira in un luogo fantastico, pieno di figure paurose: e i genitori possono essere spaventosi quando sono arrabbiati. Il viaggio dura un’eternità, perché quando si viene isolati il tempo non passa mai. Finalmente trova rifugio presso i piccoli selvaggi. Come affrontarli se non diventandone il re? Ma quando si indulge alla sregolatezza e alla ribellione, ci si accorge poi che è una condizione ben solitaria. Max allora si rende conto che i mostri sono cattivi e, come ha fatto sua madre con lui, li manda a letto senza cena. Fortunatamente però, Max non ha scordato la mamma, ne conserva un’immagine “abbastanza buona”, e così “da lontano, dall’altra parte del mondo, senti il profumo di cose buone da mangiare”. Capiamo che è un bambino molto amato perché, nel lieto fine, trova la strada di casa, dove lo attende una cena calda – l’idea di una madre che lo ama ancora malgrado la sua ribellione.
Sfortunatamente per il mio piccolo Paul e per molti altri bambini con cui ho lavorato, la via di casa non è sempre facile
da trovare, la foresta selvaggia è spesso più sicura di ciò che li aspetta a casa, e il suo invito a restare è molto allettante. Per molti bambini il luogo selvaggio diventa un luogo di soggiorno permanente, piuttosto che un viaggio occasionale. Un dato allarmante emerso dalla ricerca è che “un trauma infantile genera un comportamento violento non solo nell’infanzia e nell’adolescenza, ma anche nella vita adulta“.

La seconda omissione nel dibattito recente sull’educazione all’affettività riguarda un aspetto forse controverso del concetto di aggressività. Essa, entro certi limiti, può essere un dato caratteriale non disdicevole, o addirittura utile in alcuni contesti, come nello sport o in alcune professioni che richiedono forte determinazione e competitività. Diventa perciò estremamente rischioso dichiarare una guerra teorica, dentro le scuole, a possibili espressioni della personalità delle quali è giusto biasimare gli eccessi solo nel particolare atto pratico, come insegnano tanti secoli di studi di morale. Qual è il rischio? Il rischio è di inseguire l’utopia di un “essere umano nuovo” e ripulito dai suoi vizi (che esistono sicuramente) per ritrovarsi in breve a celebrare la pura omologazione.

Il lavoro con i bambini piccoli ci offre un’ottima opportunità di provare a spezzare il cerchio, aiutandoli ad avere un’esperienza diversa. Non dobbiamo dimenticare, tuttavia, che l’aggressività può essere anche una forza positiva. Può essere l’equivalente emotivo del tono muscolare. Spesso è l’aggressività a rendere determinati, a dare una spinta in avanti. Sta a noi, poi, farne un uso costruttivo o distruttivo”.

[tratto da: Asha Philips, I no che aiutano a crescere, Feltrinelli, 2002, pp. 79-80]

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