Le scuole devono tornare alle conoscenze di base

Il sistema scolastico svedese ha già cercato di sostituire la conoscenza con l’istruzione, intesa come educazione dei bambini. A causa di questo cambiamento, in cui è stata sottovalutata l’importanza della conoscenza, i risultati della Svezia nelle competenze di base, come la lettura, si sono molto deteriorati.

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La tendenza a trascurare la conoscenza come fondamento dell’insegnamento è iniziata in Svezia già negli anni Quaranta. Su iniziativa del politico di destra Gösta Bagge, l’istruzione (intesa come educazione dei bambini) fu anteposta alla “conoscenza” come compito principale della scuola: “[…] Il fine ultimo della scuola non deve essere l’impartizione di conoscenze, ma l’istruzione nel senso più ampio e profondo del termine”. La scuola doveva prendere il posto della chiesa nell’educazione dei bambini e nel loro processo di trasformazione in cittadini ben funzionanti e ben educati. In un’inchiesta governativa sulla valutazione del 1973, il  socialdemocratico ministro dell’Istruzione Ingvar Carlsson scrive: “L’attuale ruolo dei voti come base principale per la selezione in vista dell’istruzione successiva e del lavoro significa che il lavoro nelle scuole rischia di essere orientato verso la trasmissione di conoscenze e competenze”. L’idea di “trasmettere conoscenze” aveva ormai assunto una connotazione negativa e, durante il mandato di Birgit Rhode del Partito Liberale come Ministro dell’Istruzione nel 1978, la parola “conoscenze” scomparve completamente dal paragrafo principale del curriculum: “Il compito più importante della scuola è quello di promuovere lo sviluppo integrale di ogni alunno. Nel fare ciò, la scuola si sforzerà di aiutare gli alunni a sviluppare l’indipendenza, il pensiero critico, la capacità di cooperare e il desiderio di agire”.

Il vero cambiamento, tuttavia, si è verificato negli anni Novanta. L’insegnamento “ex cathedra” era ormai più o meno vietato, se non de jure almeno de facto. La trasmissione del sapere era considerata obsoleta e autoritaria, un’attività che non aiutava gli studenti a pensare con la propria testa. Questa idea è stata promossa su tutta la linea: dai dibattiti scolastici e dai ricercatori in campo educativo ai sindacati, dai formatori di insegnanti ai politici.Il tradizionale insegnamento è stato associato all’abuso di potere e alla disciplina servile. Il buon insegnante dovrebbe, invece, sostenere l’apprendimento indipendente dello studente, il lavoro in classe dovrebbe basarsi sulla motivazione naturale dello studente, i confini tra le diverse materie dovrebbero essere dissolti e lo spazio fisico della scuola dovrebbe essere progettato per sostenere il lavoro dello studente piuttosto che per favorire il trasferimento di conoscenze da parte dell’insegnante.

Tutto ciò si basa sull’approccio psicologico di stampo costruttivista, da cui proviene, tra l’altro, l’idea che gli individui non acquisiscono conoscenza e comprensione percependole passivamente, ma le costruiscono attraverso l’esperienza e il discorso sociale, integrando le nuove informazioni con quelle che già acquisite in precedenza. Questo ideale tende a portare a un’istruzione centrata sullo studente piuttosto che sull’insegnante, in cui gli studenti scelgono i propri progetti assumendosi la responsabilità del proprio medesimo apprendimento. Questo è diventato più o meno un dogma nelle scuole svedesi e il piano di studi del 1994 contiene formulazioni secondo cui gli studenti dovrebbero assumersi la responsabilità personale del proprio percorso di studio e, nel contempo, dovrebbero avere il diritto di esercitare una certa influenza nel mondo della scuola, non solo per quanto riguarda i metodi di insegnamento, ma anche per quanto riguarda gli stessi contenuti da apprendere. Il curriculum, insomma, si concentra in misura molto limitata sull’insegnamento mentre è dominato dal concetto di apprendimento, una diversa focalizzazione pedagogica che sposta l’attenzione dagli insegnanti agli studenti.

Questo cambiamento didattico, però, avrebbe portato ad un declino dei risultati nelle scuole svedesi. Seguendo questi nuovi principi didattici, infatti, i modelli di insegnamento sono cambiati, passando da lezioni guidate dall’insegnante ad un maggiore coinvolgimento e ad una maggiore responsabilizzazione degli studenti stessi all’interno del processo di apprendimento, ad esempio, sotto forma di produzione di “lavori propri” spingendo sempre più l’insegnante ad assumere il ruolo del supervisore. Le informazioni ricavate dalla valutazione nazionale e dalle indagini internazionali mettono in evidenza come, nel periodo che va dal 1995 al 2008, la trasmissione di conoscenze in classe sia diminuita a fronte di un aumento della quantità di lavoro individuale, con o senza la supervisione dell’insegnante. In matematica, in particolare, la quantità di lavoro indipendente è risultata piuttosto elevata. A ciò ha contribuito anche il cosiddetto insegnamento differenziato, approccio che incentiva un adattamento personalizzato dell’insegnamento che tiene conto delle capacità specifiche di ogni studente. Quest’ultimo approccio, pur non essendo supportato da basi scientifiche, è ampiamente promosso nelle scuole svedesi. Al contrario, gli studi hanno dimostrato che le lezioni guidate dall’insegnante con ampi elementi di lavoro comune, come la lettura dello stesso testo, la lettura ad alta voce insieme, lo svolgimento degli stessi esercizi e le discussioni comuni, promuovono l’apprendimento in misura maggiore.

Anche se il nesso di causalità è difficile da dimostrare, la correlazione è sorprendente. Nel 2001, gli studenti svedesi avevano raggiunto i migliori risultati nella comprensione della lettura in quarta elementare (PIRLS, Progress in International Reading Literacy Study) rispetto a tutti i trenta Paesi partecipanti. Cinque anni dopo, i risultati della Svezia erano peggiorati di 12 punti e altri cinque anni dopo erano diminuiti di ulteriori 7 punti. Anche rispetto alla lettura dei quindicenni, i risultati mostrano forti cali e tra il 2009 e il 2012 il declino è particolarmente significativo. Questa tendenza al peggioramento è continuata negli ultimi dieci anni. Ora, però, il pendolo pedagogico sta oscillando di nuovo e si sta spostando nuovamente verso l’altro estremo. Sul sito web del governo svedese (di destra) si legge quanto segue:

“Le scuole devono tornare alle origini. Abbiamo bisogno di più ordine nelle classi e nel sistema scolastico. Dobbiamo ristabilire una scuola forte e basata sulla conoscenza, con un’attenzione particolare alle conoscenze e alle abilità fattuali come la lettura, la scrittura e l’aritmetica. Abbiamo bisogno di una scuola sicura, con aspettative chiare. Questo è un bene per tutti – e soprattutto per i bambini che hanno più bisogno della scuola”.

Probabilmente la “soluzione” sta nel mezzo. Invece di scegliere tra istruzione incentrata sull’insegnante e istruzione incentrata sullo studente, un mix equilibrato tra i due ha dimostrato di avere il massimo effetto: gli studenti acquisiscono competenze e conoscenze attraverso l’istruzione da parte dell’insegnante, ma allo stesso tempo sviluppano le proprie preferenze personali, la creatività, le capacità di risolvere i problemi e le prospettive di valutazione e autovalutazione. Le idee del piano di studi del 1978, secondo cui gli studenti dovrebbero “sviluppare l’indipendenza, il pensiero critico, la capacità di cooperare e il desiderio di agire”, hanno senso nella misura in cui agli studenti viene anche insegnata una base di conoscenze e una certa serie di abilità necessarie per facilitare tutto ciò. Secondo studi recenti, infatti, risulta fondamentale che gli insegnanti si assumano la responsabilità principale di definire gli obiettivi di apprendimento, di pianificare le aree di lavoro e di selezionare i materiali didattici, nonché di stabilire il ritmo di lavoro, anche tenendo conto delle diverse esigenze degli studenti. La ricerca evidenzia anche esempi di insegnanti che stimolano attivamente gli studenti a riflettere e ad analizzare sé stessi ponendo domande aperte sul loro lavoro, che insegnano agli studenti a porre e rispondere da soli a domande critiche e che sostengono e orientano discussioni e dibattiti.

Mathias Tistelgren

Un commento

  1. L’articolo è importante, ma valutazione finale dell’autore dell’articolo è troppo irenica: la strada giusta non è un ibrido di scuola centrata sull’alunno e di scuola centrata sull’insegnante. Esiste la scuola centrata sull’alunno, ed è fallimentare non solo nei fatti (come pensa l’autore), ma anche nella teoria, che è fondata su concetti assurdi di conoscenza e di esperienza; – NON esiste la scuola centrata sull’insegnante, perché in quella autentica l’insegnante è un tramite tra la tradizione scientifica-culturale e l’alunno. Questa è la didattica tradizionale, ed essa non deve accettare qualche apporto dalla didattica progressista per sviluppare le “preferenze personali, la creatività, le capacità di risolvere i problemi e le prospettive di valutazione e autovalutazione” degli alunni, ma lo ha sempre fatto di suo: ogni insegnante che trasmette la scienza e la cultura che ha imparato, se la trasmissione è adeguata e ha successo, sviluppa nell’alunno quelle attitudini, quelle attività.
    L’esclusione delle conoscenze dalla scuola si basa sul presupposto assurdo (divenuto digeribile con l’infinita ripetizione) che il loro apprendimento comporti la passività degli alunni, non la competenza lessicale, la competenza grammaticale e lo sforzo di attenzione. L’idea che la scuola debba abbandonarsi all’esperienza dell’alunno si basa sul presupposto assurdo che l’esperienza immediata abbia rilevanza cognitiva e non l’assuma a partire da un interesse logico già sviluppato – come se bastasse vedere le mele cadere per giungere alla legge di gravitazione universale.

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