Contro la retorica pedagogica del nulla: in difesa della scuola esigente.
Dilaga l’ideologia che scambia artatamente la valutazione del profitto scolastico con il giudizio personale sullo studente, e così facendo toglie senso alla scuola.

“Errare humanum est, perseverare autem diabolicum” – Agostino d’Ippona.
Reca la data odierna, mercoledì 10 settembre 2025, l’esternazione della Dirigente dell’UST di Torino, Tecla Riverso (reperibile qui), che, ad avviso di chi scrive, è l’ennesimo esempio di quella deriva pedagogica che, sotto il pretesto dell’inclusione e del benessere, sta svuotando la scuola della sua funzione formativa, assecondando, nei fatti, anche quella indulgenza tipica della educazione “buonista” di tanti genitori che, come chiarito a più riprese da Paolo Crepet, tra gli altri, hanno abdicato al loro ruolo. Si confonde l’errore con il diritto, la fragilità con la virtù, il disagio con il metodo. Ma la scuola non è un centro ricreativo né un laboratorio di psicologia sperimentale: è un’istituzione educativa, e come tale deve formare, valutare e — quando necessario — correggere.
“Non scholae sed vitae discimus.” – Seneca.
Che l’errore sia parte del processo di apprendimento è pacifico. Ma da qui a celebrarlo come se fosse un traguardo, ce ne passa. L’errore va riconosciuto, analizzato e superato. Non può diventare un feticcio educativo. Una scuola che non corregge è una scuola che abdica alla sua funzione. Una scuola che glorifica l’errore, ripetuto e non corretto, tradisce la sua missione. La scuola non è nata per coccolare, bensì per formare. Ed il riferimento storico alla scuola ottocentesca come “fabbrica di soldati” è una caricatura ideologica. La scuola moderna non deve certo riprodurre modelli autoritari, ma nemmeno dissolversi in un’utopia emotiva. L’obiettivo non è “far sentire tutti sereni”, ma formare cittadini competenti, responsabili e capaci di affrontare la complessità e anche le difficoltà del reale.
“Virtus in arduis.”
È necessario, a questo punto, trovare un sostegno a quanto affermato anche nelle stesse norme, che sono chiare.
Iniziamo con l’art. 34 della Costituzione della Repubblica: “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.” L’obbligatorietà implica anche serietà e impegno, non solo accesso.
Il Decreto Legislativo 62/2017 stabilisce che la valutazione riguarda il processo di apprendimento, il comportamento e il rendimento degli alunni e si traduce in un voto o giudizio formale, mai personale. Il voto è uno strumento tecnico, non un attacco all’identità dell’alunno/studente. Il decreto legislativo menzionato stabilisce che la valutazione deve essere trasparente, tempestiva e coerente con gli obiettivi di apprendimento. L’art. 1 comma 2 chiarisce anche che la valutazione ha funzione formativa e di certificazione. Ne consegue che essa non può non essere anche esigente e veritiera. Confondere il voto con un giudizio sulla persona è un errore concettuale grave, che rivela una visione distorta della funzione docente, oltre che essere offensivo della professionalità degli stessi insegnanti. Si ricorda al riguardo che, sulla base delle disposizioni contenute nel Codice di comportamento dei dipendenti pubblici (D.P.R. 62/2013), i docenti, come pubblici ufficiali, devono agire con disciplina, onore e imparzialità, il che include valutazioni rigorose e coerenti.
Finanche la Legge 107/2015 – Buona Scuola, pur nota per l’enfasi sull’innovazione, ribadisce in ogni caso il ruolo centrale del docente nella progettazione didattica e nella valutazione. L’art. 1, comma 181 prevede la valorizzazione del merito e delle competenze, senza alcun riferimento alla considerazione di atteggiamenti indulgenti da parte dei docenti.
Last, but not least, già nelle Indicazioni Nazionali per il Curricolo (2012), prima che nelle ultime 2025, non ancora ufficialmente in vigore, si parla esplicitamente di valutazione come strumento di miglioramento, ma anche di responsabilità educativa. L’errore è sempre dunque considerato come parte del processo, ma NON come valore in sé. Deve essere corretto, dunque, non esaltato.
Concludo con una frase importante di Norberto Bobbio: “La scuola non è un luogo di consolazione, ma di formazione.” Probabilmente qualcuno avrebbe bisogno di rileggerla spesso…!
Ai docenti che ancora credono nel rigore, nella valutazione seria, nella responsabilità educativa diciamo: non cedete al pedagogismo da salotto e alle lamentele dei genitori chioccia! Non lasciate che il loro rumore e quello dei burocrati del consenso offendano la vostra professionalità e vi faccia dubitare della vostra missione! Non arretrate, per il bene degli alunni! La scuola ha bisogno di voi. Ha bisogno di maestri, non di animatori. Di educatori, non di docenti “facilitatori”. Tanto meno di… burocrati del “nuovismo”.