La distinzione tra conoscenza pratica e conoscenza teoretica
Contro l’illusione pedagogica del “si impara solo facendo” si tratta di guardare agli esiti fecondi alla storia del pensiero.
Una delle più gravi confusioni del pensiero pedagogico contemporaneo è l’idea che si impari solo facendo, che la vera conoscenza sia solo quella pratica, operativa, “esperienziale”. È un errore tanto diffuso quanto distruttivo, perché cancella una parte essenziale della mente umana: la capacità di contemplare, comprendere e conoscere realtà che non sono prodotte dal nostro fare, ma che esistono indipendentemente da esso.
Sin dall’antichità, Aristotele aveva chiaramente distinto le virtù e le conoscenze pratiche da quelle teoretiche. Questa distinzione, ripresa e ravvivata da Benedetto Croce nella sua Filosofia dello Spirito, è fondamentale non solo per la filosofia, ma per ogni corretta concezione dell’educazione e della cultura.
Dimenticarla significa ridurre l’uomo a un artigiano cieco, incapace di vedere ciò che fa e di comprendere ciò che è.
1. Le conoscenze pratiche: il sapere che fa
Le conoscenze pratiche — o dianoetiche pratiche, secondo Aristotele — riguardano il fare, il produrre, l’agire. Sono quelle che portano all’esistenza qualcosa che prima non c’era: un oggetto, un’azione, un risultato. Esse comprendono le tecniche, come il suonare uno strumento, il tradurre un testo, il costruire una casa, e le virtù morali, come il coraggio, la temperanza, la giustizia, che plasmano la condotta dell’uomo.
Il loro campo è quello del prattein e del poiein: l’agire e il produrre. Quando traduciamo un testo latino in italiano, componiamo un brano musicale o dipingiamo un quadro, mettiamo in atto un sapere pratico. Prima dell’azione, quell’opera non esisteva; dopo, esiste. La conoscenza pratica, dunque, fa o produce ciò che prima non era.
Essa è indispensabile alla vita: senza la capacità tecnica e morale, l’uomo non potrebbe sopravvivere né migliorare il mondo. È la stessa conoscenza che ha fatto nascere le istituzioni umane — costituzioni, leggi, governi, parlamenti, organizzazioni amministrative — tutte opere della mente pratica, che non esistevano e che gli uomini hanno fatto. Ma la conoscenza pratica non esaurisce la mente umana, perché l’uomo non è soltanto colui che fa: è anche colui che vede e comprende.
2. Le conoscenze teoretiche: il sapere che contempla
Accanto al sapere pratico, Aristotele pone il sapere teoretico, o intellettuale in senso stretto. Qui la mente non produce nulla, ma osserva, descrive, comprende.
Non fa la realtà, ma la rispecchia. È il sapere delle scienze, della filosofia, della storia, dell’arte e della poesia.
Quando conosciamo che esistono le stelle e i pianeti, che vi furono i dinosauri, che Socrate non ha scritto nulla o che Giulio Cesare morì alle idi di marzo, non “facciamo” nulla di pratico. Contempliamo realtà che sono già, che non dipendono dal nostro fare, ma dal nostro conoscere.
Lo stesso vale per le leggi matematiche o per i principi morali: non li inventiamo, li scopriamo.
Theorein in greco significa contemplare.
Il conoscere teoretico è contemplazione dell’essere, sguardo che non vuole mutare le cose ma comprenderle. È la forma più pura della conoscenza, perché la mente vi si apre alla realtà senza scopi esterni, per il solo amore del vero.
3. L’esempio della poesia
Un chiaro esempio di questa distinzione si trova nell’insegnamento della poesia.
Alcuni pedagogisti sostengono che si impari la poesia solo scrivendo poesie.
Ma che cosa si imparerebbe, in realtà, componendo versi senza conoscere quelli di Omero, di Orazio, di Dante, di Shakespeare? Si imparerebbe al massimo una tecnica, non la poesia.
La vera conoscenza poetica nasce dal contemplare le grandi opere che già esistono. È leggendo La Divina Commedia, ascoltando la voce epica dell’Iliade o meditando sui versi di Leopardi che la mente entra nella poesia. Il lettore non produce nulla, ma impara, comprende, rispecchia in sé la visione poetica di un altro spirito umano. Questa è conoscenza teoretica.
Scrivere versi può essere utile come esercizio tecnico, ma la poesia vera non nasce dal gesto, bensì dalla contemplazione del bello e del vero. Solo chi ha imparato a vedere, a comprendere, a sentire, può poi tentare di fare qualcosa di poetico.
4. L’esempio dell’arte figurativa
Lo stesso vale per l’arte.
Insegnare pittura senza insegnare a contemplare le opere di Giotto, di Leonardo, di Raffaello o di Michelangelo sarebbe come insegnare a parlare senza far ascoltare la lingua. Un corso di pittura che non contempli la storia dell’arte forma solo esecutori, non artisti.
Nel dipingere c’è una parte pratica, certo: l’uso del pennello, del colore, della prospettiva. Ma prima di ogni gesto deve venire la visione. Solo chi ha contemplato le opere dei grandi maestri può imparare che cosa significhi davvero fare arte.
È per questo che Croce e Gentile, nella loro riforma dei licei, vollero accoppiare disegno e storia dell’arte: perché la conoscenza tecnica e la conoscenza teoretica si completano a vicenda, ma non si sostituiscono. La prima forma la mano, la seconda forma la mente.
5. La gerarchia del conoscere
La conoscenza teoretica e quella pratica non sono due gradi dello stesso sapere, ma due forme distinte e complementari. L’una produce, l’altra comprende. L’una fa, l’altra vede.
Tuttavia, la conoscenza teoretica ha una dignità più alta, perché è fine a se stessa.
Non mira a un risultato esterno, ma alla verità. Nel conoscere teoretico, l’uomo realizza la sua funzione più propria: essere un essere razionale, un animale che contempla l’essere e riconosce in esso un ordine intelligibile. Senza la teoresi, ogni azione diventa cieca; senza la contemplazione, ogni fare si riduce a meccanismo.
6. Contemplare per agire meglio
Non si tratta, dunque, di contrapporre il fare al conoscere, ma di rimettere ordine:
l’agire deve nascere dalla contemplazione, non sostituirla. Chi non ha imparato a vedere, agirà senza sapere perché. Chi non ha conosciuto il vero, agirà senza giustizia. Chi non ha contemplato il bello, produrrà solo cose utili, mai opere d’arte o azioni veramente umane.
La conoscenza teoretica non è un lusso per pochi, ma una necessità per tutti: è ciò che dà senso al fare, misura all’azione, direzione alla vita. Essa è la radice invisibile di ogni cultura, la fonte da cui scaturiscono le scienze, le arti e le morali.
7. Conclusione: la libertà del conoscere
Dire che si impara solo facendo è dunque falso e fallace.
Si impara anche — e spesso di più — contemplando. Il bambino che guarda un affresco di Giotto, l’adolescente che legge Dante o ascolta Mozart, l’adulto che medita una pagina di filosofia o una legge della natura, imparano davvero: non fanno, ma conoscono. La loro mente si apre al vero, e questo è l’atto più alto della libertà umana.
Conoscere teoreticamente significa lasciar essere ciò che è. Conoscere praticamente significa fare o produrre ciò che non era. L’una forma custodisce la verità, l’altra la libertà. Solo chi le distingue, come Aristotele e Croce ci hanno insegnato, può comprendere entrambe e diventare pienamente uomo: capace di agire con intelligenza e di contemplare con amore.
