Contro il “docente facilitatore”: con Gert Biesta per una difesa dell’insegnamento
Da una recensione di “Riscoprire l’insegnamento”, di Gert J. J. Biesta, una riflessione sulla necessità che gli insegnanti riassumano il ruolo che compete loro, per una vera istruzione e una vera formazione
Riscoprire l’insegnamento
Nel suo saggio Riscoprire l’insegnamento (The Rediscovery of Teaching, 2017), il filosofo olandese dell’educazione Gert J. J. Biesta propone una stimolante riflessione sul ruolo dell’insegnamento nella pedagogia contemporanea, sfidando le tendenze dominanti che privilegiano l’apprendimento come processo spontaneo, auto-diretto e centrato sull’alunno. Il testo, tradotto in italiano nel 2022 per Raffaello Cortina Editore, si inserisce nel dibattito sulla crisi dell’insegnamento come pratica educativa e sulla marginalizzazione dell’insegnante nella scuola moderna.
La pedagogia contemporanea è attraversata da una corrente che potremmo definire “nuovista”, una sorta di permanente entusiasmo riformista che, nel tentativo di innovare sempre e comunque, ha finito per svuotare il senso profondo dell’insegnamento. In questo panorama, Biesta rappresenta una voce fuori dal coro e Riscoprire l’insegnamento è un manifesto contro la riduzione dell’educazione a facilitazione dell’apprendimento. Biesta denuncia la “learnification” — il processo per cui si parla solo di “apprendimento” e mai più di “insegnamento” — e ci invita a recuperare il ruolo dell’insegnante come guida, come adulto responsabile, come soggetto che introduce l’allievo nel mondo.
L’analisi parte da una constatazione: negli ultimi decenni il paradigma educativo si è spostato verso una visione costruttivista e performativa, in cui l’insegnamento è ridotto a un insieme di tecniche per facilitare l’apprendimento. In questa concezione, l’insegnante viene visto come un “facilitatore” o un “coach”, laddove l’allievo è considerato il soggetto attivo che costruisce da sé il proprio sapere. Il pedagogista olandese contesta questa impostazione, sostenendo che essa rischia di svuotare l’educazione del suo significato più profondo e di trasformare la scuola in un luogo di addestramento piuttosto che di formazione.
Il cuore della proposta di Biesta è la rivalutazione dell’insegnamento come atto intenzionale, responsabile e relazionale. Insegnare, per Biesta, non significa controllare o manipolare, ma “mettere in gioco” l’allievo, offrirgli occasioni di incontro con il sapere, con il mondo e con sé stesso. L’insegnamento è un atto etico, perché implica una responsabilità verso l’altro; è un atto politico, perché contribuisce alla formazione del cittadino; ed è un atto culturale, perché trasmette contenuti, valori e visioni del mondo.
L’autore distingue tre dimensioni fondamentali dell’educazione: la qualificazione (trasmissione di conoscenze e competenze), la socializzazione (inserimento in una comunità e in una cultura) e la soggettivazione (formazione del soggetto come individuo libero e responsabile). L’insegnamento, secondo Biesta, deve tenere insieme queste tre dimensioni, evitando di ridurre l’educazione tanto a una mera trasmissione tecnica quanto ad una semplice facilitazione dell’apprendimento.
Un altro punto centrale del libro è la critica al pedagogismo, inteso come eccesso di teorizzazione astratta, che finisce per allontanarsi dalla pratica educativa concreta. L’autore invita a recuperare una pedagogia dell’insegnamento che sia radicata nella realtà della classe, nella relazione tra insegnante e allievo, e nella responsabilità educativa.
Last but not least, il pedagogista olandese sottolinea che l’insegnamento non può essere completamente pianificato o controllato: c’è sempre un elemento di imprevedibilità, di apertura, di rischio. Insegnare significa, dunque, anche esporsi, correre il rischio dell’incontro, accettare che l’allievo possa rispondere in modi inattesi. Ed è anche in questo spazio di libertà che si gioca la possibilità di una vera educazione.
Figli e nipoti del costruttivismo
La deriva della “learnification” ha radici profonde in tutte le teorie che si richiamano al costruttivismo, che da Jerome Bruner in poi hanno posto l’accento sullo “apprendimento attivo”, sulla “scoperta autonoma”, sull’esperienza come fonte primaria di conoscenza. Bruner, con il suo celebre The Process of Education (1960), ha sostenuto che “qualsiasi argomento può essere insegnato in modo efficace a qualsiasi bambino, a qualsiasi età, in qualche forma intellettualmente onesta”. Questa affermazione, spesso presa come un dogma dai suoi epigoni, ha portato a una semplificazione eccessiva del ruolo dell’insegnante, trasformato in un mediatore neutro privo di autorità epistemica.
In questa visione si collocano le proposte di Daniele Novara, pedagogista noto per Cambiare la scuola si può (2014), in cui egli promuove una pedagogia non direttiva, basata sul conflitto come risorsa educativa e sull’eliminazione della lezione frontale. Novara sostiene infatti che “la lezione frontale è un residuo del passato, un ostacolo alla partecipazione attiva degli studenti” e fonda la sua proposta sull’idea che l’apprendimento debba essere sempre esperienziale, collaborativo, destrutturato. Ma è proprio questa destrutturazione che Biesta contesta: senza guida, senza orientamento, l’allievo rischia di perdersi, di restare prigioniero della propria autoreferenzialità.
Anche Cristiano Corsini, nel suo La valutazione che educa (2023), propone una visione alternativa alla scuola tradizionale, criticando duramente l’uso del voto e delle prove standardizzate. Corsini promuove una valutazione descrittiva, formativa, cosiddetta “emancipante”, che mira a liberare l’apprendimento dalla “tirannia del voto”1. Anche qui si nota la tendenza a marginalizzare il ruolo dell’insegnante, in un modello di educazione orizzontale dove tutto è negoziabile, tutto è fluido, tutto è “da costruire insieme”.
A queste teorie si affiancano le proposte metodologiche come la flipped classroom, il cooperative learning, la peer education. Alcune di queste pratiche, integrate con equilibrio e in taluni casi specifici, possono essere utili alla didattica; ma quando diventano dogmi, quando vengono imposte come uniche vie ‘salvifiche’ rispetto alla classica didattica trasmissiva personificata dalla lezione frontale, considerata un residuo del passato, finiscono per svuotare l’insegnamento della sua forza formativa. La flipped classroom, ad esempio, capovolge la lezione, affidando allo studente la responsabilità di studiare a casa e usare il tempo in classe per attività collaborative. Tale impostazione presuppone una maturità, una motivazione e una competenza che sono generalmente lontane dai discenti; e, soprattutto, presuppone che il sapere possa essere “scoperto” senza guida, senza mediazione, senza struttura.
Diritto e dovere di insegnare
È dunque necessario rivendicare il diritto — e il dovere — di insegnare. Di guidare. Di proporre. Di strutturare. Contro il nuovismo pedagogico, contro la retorica della scoperta autonoma, contro la marginalizzazione dell’insegnante. Per una scuola che abbia il coraggio di educare, di formare, di trasmettere. Perché solo così si può davvero accompagnare l’allievo verso una libertà autentica, consapevole e responsabile.
È ancora Biesta a ricordarci che l’educazione è anche interruzione: interruzione dell’immanenza, del già noto, del già pensato. L’insegnante è colui che introduce l’alterità, che rompe l’autoreferenzialità, che offre contenuti che l’allievo non avrebbe mai incontrato da solo. In questo senso la lezione frontale, lungi dal costituire un “residuo del passato”, si rivela una pratica educativa potente, capace di creare uno spazio di ascolto, di concentrazione, di confronto con il sapere.
Alcuni esperimenti vissuti in prima persona risultano emblematici. Ricordo, nella mia esperienza da docente, una classe terza media in cui si era deciso di sperimentare un approccio completamente laboratoriale per lo studio della storia. Gli alunni, divisi in gruppi, dovevano ‘scoprire’ da soli il significato della Rivoluzione francese, utilizzando materiali digitali, video e mappe concettuali. Dopo due settimane il risultato fu disarmante: confusione, superficialità, e una totale assenza di visione d’insieme. Solo quando si tornò a una lezione frontale, guidata, con una narrazione chiara e una struttura precisa, gli alunni compresero il senso profondo di quell’evento storico.
In un’altra occasione, durante un modulo di letteratura italiana in un liceo, un collega propose agli alunni di “costruire” da soli l’interpretazione di un sonetto di Petrarca, senza alcuna guida iniziale. Il risultato? Interpretazioni fantasiose, spesso lontane dal testo e… frustrazione diffusa. Quando l’insegnante riprese in mano la situazione, offrendo una lettura guidata, contestualizzata e arricchita da riferimenti storici e stilistici, gli alunni, in maggioranza, apprezzarono finalmente la bellezza e la complessità del testo.
Infine una classe quarta liceo scientifico, nella quale si era deciso di adottare il metodo del dibattito libero per affrontare il pensiero di Kant. Senza una cornice teorica solida, il confronto si è trasformato in una serie di opinioni personali, spesso destituite di fondamento. Solo quando l’insegnante ha proposto una spiegazione sistematica della Critica della ragion pura, gli studenti hanno potuto davvero confrontarsi con Kant, comprenderlo e discuterlo con cognizione di causa.
Riscoprire l’insegnamento significa, dunque, anche riscoprire il valore della relazione educativa. Una relazione che non è simmetrica, ma che proprio nella sua asimmetria trova la sua forza. Perché l’insegnante non è un amico, non è un compagno di viaggio: è un adulto che si prende cura, che guida, che accompagna. E l’allievo, proprio grazie a questa guida, può scoprire sé stesso, il mondo, gli altri.
Insegnare è dunque, proprio come afferma Biesta, un atto etico, politico e culturale. Solo una guida strutturata, consapevole e responsabile può davvero accompagnare l’allievo verso una formazione autentica. Non basta scoprire: bisogna anche essere introdotti, provocati, sfidati. E questo è il compito e il ruolo di un docente.
1. Cfr., sempre di Citaredo, anche https://www.ilgessetto.com/cristiano-corsini-e-la-vuota-retorica-della-scuola-senza-voti/
